Alessandro Bianco – La giacca in prestito

Alessandro Bianco

Alessandro Bianco

da “LA GIACCA IN PRESTITO”

IL FIUME
C’è un fiume di parole e di suoni;
non chiedetemi dove va,
non chiedetemi dov’è.
So solo che a volte,
ascoltando con umiltà,
dimenticando tutto e ascoltando solo il fiume,
qualcuno di noi può rubare il segreto della sua musica,
un brandello della sua voce.

TENTENNANTI LUMI
Tentennanti lumi dei canali,
ponti di nebbia e di cristallo,
sommesse voci, come potete parlare
d’amore in questo gelo?
Qui l’inverno dilaga e imperla di neve
le nostre cattedrali.
Chi implora ancora, chi prega?

NAVI CONTRABBANDIERE
Battesimo.
Comunione.
Cresima.
Matrimonio.
Estremaunzione.
Navi contrabbandiere vanno in mare aperto,
costeggiano isole ignorate dalle mappe,
hanno risvegli dorati,
bisbocce a notte fonda,
timonieri burloni,
capitani senza gradi,
come vascelli fantasma non lasciano traccia,
naufragio di folli,
con la benedizione di Dio.

LEI E LUI
Riassetta con creme e belletti,
luminosa.
Oh, eternamente così!
Lui, come pavone le ruota intorno,
e vuol fare l’amore.
Il guastafeste!

MI RIMANGONO CINQUANTA CAPELLI
Mi rimangono cinquanta capelli,
che io tratto con amore
e dolcemente inclino ora all’est,
ora all’ovest.
Ogni sera li conto
preoccupato e severo,
come un guardiano le sue oche.

MORTE DI PASOLINI
Quando la notte dilegua tra i tuguri,
dove per poca moneta si baratta la vita,
selvaggio animale ti aggiravi attirato
dall’odore acre del sesso.
Strisciando lo sguardo oltre la palude dei capanni,
tra le quinte del cielo Roma ti appariva
luminosa di cupole e palazzi.
Là era tua madre nel suo ghetto
di quasi ricca, sola con la sua pena.
Tutto il freddo del mondo ti entrava
nel petto, e te ne andavi senza difese
ormai, senza più astuzie.
Sapevi che in quei viottoli la morte
ti aspettava, per lasciarti,
mucchio di stracci sulla terra,
al sussulto impietoso del mattino.

LO SCOIATTOLO
Oh, il trapezista folle!
Un pino, un altro pino: op là!
Sulle rocce in platea,
baffute, ironiche marmotte,
il cielo per tendone,
vertigine di rondini in picchiata.

I REAMI DEI BAMBINI
I reami dei bambini non hanno confini,
hanno cieli come castelli di nubi,
le torri d’oro dell’ultimo tramonto,
mille velieri dentro i mari
e le stive sono colme di sogni.
Prima che venga il tempo dei compiti
e del muro della scuola,
i bambini sono padroni dell’aria
del mondo, sono i più ricchi di tutti i re.

GLI ANGELI DEI PORTALI
Suonano la tromba gli angeli dei portali.
Entrate, venite nel regno dei cieli.
Basta ripetere la formula magica,
un po’ di polvere del pirimpimpim,
e, voilà, voi siete immortali.

PER UN FUOCO ACCESO TOSSICCHIANO
Per un fuoco acceso tossicchiano
fumo i comignoli dell’anima.
Butta legna e carbone: si ammucchia
la neve alle porte,
e muti corvi aspettano la tua carcassa,
non ti possegga la fredda evidenza.
Butta legna e carbone.

I VECCHI MOLTO VECCHI
I vecchi, molto vecchi, non vedono e non vogliono vedere,
non sentono, parlano con i morti.
Sono qui per caso, naufraghi,
le carcasse erose dalla malattia,
come accade quando lo spirito non vigila sul corpo.
Hanno lunghi letarghi e radi sussulti,
ai caldi odori della sera,
o al tepore del sole, quando si affacciano
alla porta.

INCALZA LA NOTTE
Incalza la notte,
ulula con i suoi lupi.
Rosseggia appena la nostra poca brace,
ti stringi a me credendomi forte.
E io mi fingo forte perché tu possa dormire.

RISVEGLIO NELLA NOTTE
Quando ritorno in me dopo il risveglio
– il sonno è una morte buona e ci concede
viaggi, giochi d’amore e sgavazzate con gli amici
quando ritorno in me nel cuore della notte,
solo con i rintocchi del campanile della torre,
affondata lassù, nella sua nebbia,
sono il prigioniero riottoso trascinato
dall’isola del sogno, alle fredde terre del giorno.

ANCORA CI TENTA L’APRILE
Ancora ci tenta l’aprile, con le sue foglie,
i suoi cieli, le acque dei suoi fiumi.
Passeri impertinenti ti svegliano di buon’ora,
sognando un altro: sorride, e a te da tempo
non sorride più! Alla malora!
Che guazzabuglio è questa primavera!

MI MANDI LETTERE PROFUMATE
Mi mandi lettere profumate,
con o panciute,
t altere,
f smorfiose.
Mi chiedo se mi ami o ti trastulli,
limandoti le unghie,
io e lo smalto in vetta i tuoi pensieri.

GIÀ’ AFFONDA
Già affonda la luce del tuo volto
nell’acqua della sera.
Nero e muto
corre il fiume verso altre rapine.

IL GUADO
Come siamo stati queruli e curiosi, amici,
l’Amazzonia, la libertà dell’uomo,
le notti di Bangkok, il nostro Dio negato
e crocifisso.
Adesso è tardi: batte alle porte la signora
dal pugno di pietra. Non accetta domande.
Chi ci autorizza a farne?
Tra il tutto e il nulla il guado è così breve….

IL MIO TEMPIO
Nuvolari, Del Monaco,
Macario, Montale.
Sono un Anticristo ad accostarli,
ma dentro me non baruffano mai: si capiscono.
E le gambe di Zizi Jean-Maire
sono le colonne del tempio.

IL NASCONDERELLO
Memoria, vacillante lume,
ritorniamo nei vicoli a cercare gli amici
rannicchiati negli anditi bui,
appiattiti dietro i portoni,
fermato anche il respiro per il nasconderello.
Torniamo alla piazzetta
per un nostro urlato osceno alalà.
Scrollavano il capo, le vecchie in neri scialli,
nel vederci sfrecciare putti e demoni
– è tardi! è tardi!-alle minestre scotte
e ai rabbuiati padri.

IO NON SORRIDEREI TROPPO
Nei paesi i vecchi si contano ai funerali,
un calcolo breve, biascicando rosari.
Marito e padre esemplare…
Ha chiuso una vita di lavoro…
Sposa e madre di chiara virtù…
Avvinazzata, ex puttana,
picchiapetto in extremis…
( il manifesto comprensivo diceva anima buona).
Per Giove, siamo rimasti solo in quattro
a bestemmiare!

EMERGA QUALCHE SPRAZZO
Emerga qualche sprazzo
di poesia: il muso di una foca
tra i ghiacci del polo,
curiosa.

MI SPEDIVANO
Mi spedivano lettere rosa,
io le sentivo profumate,
con foglie dentro e viole:
esche, amuleti.
Ero un pesce smaliziato, troppi buchi in quelle reti.

E’ TEMPO
E’ tempo che ti abbandoni
al flusso ed al riflusso,
alle stagioni,
alla notte,
alla luce,
che ogni tua cellula pulsi
del pulsare de mondo.
E’ tempo che tu superi la morte.

IO STO A VEDERE
Io sto a vedere.
Sopra una nave che affonda
e non ha scampo,
tanto vale godersi lo spettacolo.

LA DONNA-MISTERO
I tuoi occhi cambiano colore,
ora grigi, ora verdi,
come le rocce di certi fondali:
non sono lo specchio dell’anima.
A volte mandano bagliori,
non sai se di coralli,
o di fosforescenti mostri degli abissi.

IL VECCHIO PENDOLO
Resta la tana calda di moquettes,
di vecchi mobili odorosi,
di libri rilegati,
sullo scrittoio una penna per una non finita lettera.
I padroni sono partiti per un viaggio
che non ha ritorno,
lasciando il guscio di una vita
un cassettone, un tappeto, un lampadario.
Arrivano i nipoti: si sgombera, si vende.
Rimane un vecchio pendolo spaurito
dalla spocchia dei nuovi quadri, dei cristalli.
Soltanto lui ricorda il mite professore
e la compagna, il loro amore…

AMO IL SELVAGGIO
Amo il selvaggio che in me si è salvato
dall’usuale, dallo scontato, dal rifatto.
Odio le vernici, le parrucche e le dentiere.
Amo il cavernicolo che ride e piange in me,
assalta le femmine alla brava,
e nei salotti se ne sta in disparte.

LA GRANDE CITTÀ’
Nella grande città la sera ha sempre
una malia, promette…
Ti metti tra la gente e pensi
che l’amore ti aspetta nel viso di una
etera diversa dalle altre.
Non sei più solo tra le luci e le voci.
Dimentichi che ieri e ieri l’altro ancora
un’identica malia ti conduceva…

L’AUTUNNO STRINA LE FOGLIE
L’autunno strina le foglie,
le accartoccia,
morbidamente le uccide.
Restano i rami spogli,
il segno di un passaggio,
la trama per inventare un’altra primavera.

DISSOCIAZIONE
Lei non si stanca.
Giace come un’imperatrice,
le palpebre socchiuse,
vive un suo sogno:
che su lei s’affanni un giovane abbronzato,
infaticabile.
Il marito esangue ed occhialuto
( è già venuto) che le sta vicino
conta meno di una virgola.

OGNI ESSERE HA DIRITTO ALLA SPERANZA
Ogni essere ha diritto alla speranza,
nelle notti di luna il vecchio leone
nella gabbia sogna le sue radure,
la coccinella sul dorso della mano
aspetta il suo fiato per il volo.
Cerchiamo cose troppo grandi: Dio e gloria.
Saggia biologia godere di questa fresca pioggia,
del ritrovato sole,
e del tuo volto apparso all’improvviso,
per un giorno d’amore.

TU VUOI ANCORA VEDERMI
Tu vuoi ancora vedermi,
io non ti amo quasi più.
Vuoi bere il tuo bicchiere fino in fondo,
non capisci che il reale è una ripida scala,
che scende ad una grotta antica,
e le figure scalpellate alle pareti
guardano con sbarrati occhi
la tua torcia impudica.
Solo il sogno ci salva, il non vissuto.

SEMI ASSOLUZIONE
Ho atteso dodici anni per pubblicare
un libro di poesie.
Avessi pazientato per altrettanti,
forse sarei morto.
Ed era fatta.

VIVO PER UN LIBRO
Vivo per un libro di poesie,
c’è chi vive per un terno,
e chi porta un San Cristoforo
sul petto.
C’è chi vive senza poesia, senza lotto,
e senza santi,
sotto un suo gonfio cielo di disperazione,
ai lampi di qualche sbronza cattiva.

UN MEDICO
Rivela grande sicurezza
nell’ascoltare un cuore,
nel palpare un addome,
nel soppesare un malato
per la prognosi.
Se avesse anche un granello di ironia,
mi farei curare da lui.

MI DAI GIORNI LEGGERI
Mi dai giorni leggeri:
sei la spuma del mare che diverte lo scoglio,
la fascina che parlotta col camino,
squittisci scoiattolo delizioso
con parole felici di non avere un senso.
Nascono maliosi vicoli,
terrazze di impazzite azalee.
Mi dai giorni leggeri.

DORMIVEGLIA
Tra la notte e l’alba
quando nella barca del sonno i vogatori
hanno perduto lena,
e dentro il bosco lo scoiattolo
ancora non inclina il capo
all’est e all’ovest per ascoltare
i venti del mattino,
la canoa del pensiero
imbocca rapide proibite,
costeggia foreste favolose e inaccessibili,
fino al gran mare del risveglio.
E l’incantesimo finisce.

SHOCK CARDIOGENO
Non ce la farò fratello.
Per uno shock cardiogeno
ci vorrebbe un nuovo ventricolo sinistro.
In questo povero ospedale di provincia,
tu mi chiedi con gli occhi la speranza.
Non ci conoscevamo prima: a volte
come nasce maledetta l’amicizia.

IL MIO AMORE
Io non metto il bavaglio all’amore,
non lo riduco ad un orso ammaestrato,
a un vecchio petulante professore.
Il mio amore è un ragazzino
figlio della strada.
Salta le siepi, ruba le mele,
ride mangiando l’uva col sole dentro gli occhi.
Non calcola, non imbroglia,
non prevede.
Ama semplicemente come vive.

CHI ASPETTI TU?
Chi verrà per la tua veglia,
la tua lampada accesa,
la tua preghiera scabra?
Nelle cattedrali dalle cupole d’oro,
è nato un dio ipocrita, astuto,
amico dei potenti.
Chia aspetti tu, stracciato, assetato di verità,
nella tua casa con poche sedie
e due bicchieri slabbrati?

VORRESTE VEDERMI
Vorreste vedermi smarrire la memoria,
sbavarmi addosso vecchio papiraceo,
come gioca la morte ad azzannarmi.
Non lo vedrete; conosco anfratti, silenzi,
smorfie, metropoli, tutto ciò che serve
ad eclissarsi, ad avere pudore nel morire.

OH MIE DONNE
Oh mie donne,
Marisa Anna Manuela
lasciate i vostri nomi,
un solo volto vi reinventa tutte
in chiare pozze di memoria.
Oh mie donne distrutte
e per sempre rinate.

LA CASCATA
Lo scroscio d’acque copre la tua voce.
Tu gesticoli, ridi,
mi guardi corrucciata.
E’ il nostro destino, cara,
– credo non solo il nostro -parlarci e non capire.

L’OSSO LEVIGATO
L’osso levigato è come il ciottolo,
un’eco, una traccia,
il pettine antico che riaffiora
e ci parla di una piccola mano,
che in un’alba lontana ravviava una chioma.

LA VITA
La vita è una vecchia contadina,
che nel grembiule porta le cipolle,
le castagne che fan le sere lunghe e dolci
( se c’è vino, amici, qualche donna),
le pere succose che rinserrano l’estate,
e una gallinella spaurita
e anche un poco curiosa,
accoccolata nel buio.

POETI MINORI
Noi siamo umili voci, un coro di passeri
che a sera la grande quercia accoglie.
Ridicola superbia, quella di chi grida più forte,
pensando di essere “La Voce”.
Non è chi non capisca
la grandezza di Montale o Pasolini.
Ma questi sono di un’altra razza,
hanno altre ali.

AMICI CARI
Amici cari
di un’età perduta,
di una città perduta,
di un tempo che non torna,
sono passato dopo trent’anni
davanti alla vostra casa.
Ho rivisto il cancello,
il giardino, i cespugli.
Potevo suonare.
Sono qui, sono tornato…
Non basta ritrovare
una forcina in una stanza,
per far rivivere un volto,
una voce, l’incanto di una sera.
Il passato ci è sepolto
alle spalle. Non ho suonato,
amici, non so se mi capite.

L’AMORE
Disegni con le tue mani un arco breve,
cinciallegra di un bosco quando ridi,
iridescente goccia di rugiada,
appena nata e subito dissolta.
Tu sei cristallo e trasparenza,
immagine specchiata alla fontana,
arcobaleno.
Oh amore, noi non ti possediamo mai.

SPAURITO VISO
Spaurito viso,
minuto, dolce viso
del mio amore,
che stai racchiuso nelle mie grosse mani
e temi lo sfacelo e l’abbandono,
non senti che il terrore
di perderci è anche il mio?

L’ANGELO NERO
Alle fredde rive della notte,
l’angelo nero attende
Per questo sabba di ombre senza corpo,
è venuta vicinissima la luna,
regina curiosa con uno sciame di luminose cortigiane,
leggere si sono alzate le pietre dei sepolcri.
Ecco gli amici in giacche un poco larghe,
pastrani impolverati: non parleremo del passato
dolce e vicina è la vita,
futuro non ne abbiamo, fioriranno parole
lievi e vane, come lieve e vano
è il nascere dell’erba.
Prima che l’angelo dispieghi le sue ali
e ci lasci smarrito un altro giorno.

LA RAGAZZINA
Ha messo colbacco e stivali per farsi
più alta, cerchiati gli occhi di bistro,
per far piegare gli sguardi,
avvolge in un largo mantello
l’ancora gracile seno.
Poi esce altera. Giocando.
( Senza ancora saperlo).

FURTO
Mi hanno rubato i ricordi.
Hanno venduto la casa.
L’abbatteranno.
Sotto un grande palazzo
seppelliranno
la mia infanzia.

SOLITUDINE
Solitudine assorta
in un grumo di niente,
il tempo non ha più peso,
la morte non ha colore,
campi tranquilli alle spalle
e odore di fieno,
un cielo stellato davanti, vicino.

PRESTO
Presto ritroverò mio padre,
non il padre celeste,
il padre umano e il suo regno
di terra e di formiche.
Sarà come prendere una nave,
senza abbracci e sventolio di fazzoletti,
come accade all’emigrante nascosto nella stiva.

NOI NON ABBIAMO STORIA
Noi non abbiamo storia,
siamo oltre le righe,
sul margine dei fogli
dove si posano distratti scarabocchi
e i conti della spesa
in questa distesa di non detto e di possibile
( a volte nasce uno schizzo spiritoso).
La storia con trombe e con tamburi
non ci interessa affatto,
stiamo bene in questo bianco,
punteggiato di caccole di mosca.

LA PAUSA
I vecchi lampioni sbiancano nell’alba,
muore l’ultima nota jazz.
Nel parco è cominciata la sarabanda dei fringuelli
e facciamo colazione d’aria fresca
( i primi bar non sono ancora aperti).
Noi igienisti, abbiamo queste pause.

CORRE IL TRENO
Corre il treno, luminoso serpente
della notte.
In una piccola stazione lui aspetta
intabarrato la sua donna.
Lei si rifà il trucco del viso e si spettina un poco
per piacergli.
Breve gioco è l’amore: quanto cuore
ci mettiamo, quanta attesa.

IL GRATTACIELO
Loculi di lusso.
Cemento adesso, cemento dopo.
I boschi e i fiumi ve li sognate.
Ci sono quadri qui, qualche scultura:
ma anche dopo avrete fiori e lapidi.
Ah, ingenui, volevate comprare la vita!
Siamo mercanti onesti noi,
state al contratto.

IL MIO ANGELO
Il mio angelo( tra noi non c’è dialogo)
è un angelo cocciuto, montagnino,
e non mi lascia.
Vado come un lupo per le mie strade di baldoria,
dimentico di lui.
Quando rincaso albeggia
e non mi volto mai,
ma so che piange.

TUTTO E’ A NOLO
La giacca in prestito, la camicia,
le mutande e l’orologio.
Tutto è a nolo.
Nulla è più effimero dell’anima.
Guadagnamo la vita minuto per minuto,
lieti del nuovo giorno, della dolce notte e del vento,
di tutto ciò che passa e che in realtà rimane,
ferma cornice al nostro spaurito camminare.

IL MIO CANE
E’ invecchiato come me, si è fatto grigio,
si è accontentato del mio poco tempo,
l’umido muso proteso a una carezza, una parola.
Adesso è stanco e sono stanco anch’io.
Se morirà per primo, penso che lo seppellirò
sotto quel melo che gli fa ombra nei giorni dell’estate.
Se esiste un’anima e qualcosa ci aspetta oltre la vita,
credo che lo ritroverò cucciolo e sbarazzino,
e mi dirà ( là non ci saranno barriere
di linguaggi): andiamo, abbiamo tempo
adesso, per gli spumosi pascoli del cielo.

I VECCHI DEL RICOVERO
Su questa trepida armata
l’inverno si è accanito.
I vecchi del ricovero
sciamano nel sole di questa primavera,
stupiti d’esser vivi in tanta luce,
neri e bigi nel giallo delle primule,
nel verde tenero dei bottoni sopra i rami,
nell’opale del cielo.

COMUNIONE DELLE POLVERI
Vi accoglieremo, non dubitate,
salmodianti parassiti,
depositari della verità,
inventori di nebulosi eldoradi.
La polvere delle vostre ossa
si mescolerà alle polveri degli atei
e di quelli che non sapevano,
e quindi non promettevano.
Il sole, vecchio faccione rubicondo,
sa bene che le baruffe dei filosofi
finiscono in allegre comunioni.

INCONTRO
Ci siamo incontrati per caso,
non credo fosse scritto nei libri.
Ci siamo giurati amore eterno,
noi così fragili e mutevoli
come nubi che il vento aduna e poi disperde.
Incanutiremo insieme, forse.
Quando uno di noi due ritornerà alle origini,
dove la terra scompone e tutto in varia forma
ricompone,
l’altro, ogni giorno,
piegato sopra un tumulo e su un nome,
griderà ancora amore eterno.
Noi così fragili e mutevoli.

CHE FATICA CERCARE UNA VOCE
Che fatica cercare una voce
che consoli e che rallegri,
la chiesa e la taverna
negli occhi di una donna.
Com’è lunga la strada.

DNA
Gabbiani e pipistrelli si nasce,
i giudici mi fanno un po’ ridere.
Libertà che bella parola.

IL SIGNORE DELLA NEBBIA
Signore!
Bombetta e bavero rialzato,
fantasma nella nebbia, inglese, attore,
ubriaco?
Perché non si offre al mio occhio curioso di biologo?
Ha ragione: il reale ci uccide.
Fugga così, smarrito nella bruma,
evanescente ed eterno: il possibile
le è tutto spalancato.

INDUGIA IL GIORNO
Indugia il giorno,
l’alba potrebbe non nascere,
e iniziare la tua lunga notte,
pietà o dannazione, chi sa mai.
Ecco il regalo, o la condanna del cielo:
un altro giorno è qui.

IL MIO PECCATO
Io credo nel peccato.
Mi sono masturbato,
ho posseduto donne consenzienti,
non sono un pederasta,
e quindi non ho merito
per questa continenza.
Non provo pentimenti.
Penso a quel vecchio che non ho ascoltato,
e mi parlava dalla landa della sua
umiliata solitudine,
penso a quel cane bastardo,
coperto dalle croste,
su lui il mio sguardo appena si è fermato,
all’alterigia con cui ho sentenziato:
tu sei cattivo, tu sei colpevole,
al mio lavoro ( medico o scarparo, non importa)
non sempre bulinato da un’accanita volontà
di fare il meglio.
Questo è il mio peccato,
e questo mi addolora.

A UNA DONNA
Sarai soltanto un nome,
un cristallo spezzato,
un dolore nella memoria.
Nell’alba livida
bisognerà svegliarti
dolcemente,
perché tu sia viva nel giorno.
Eravamo abituati ai silenzi,
e il non udirti
mi parrà consueto.
Forse basterà rompere
questa calma con un grido,
per vederti apparire,
bocca che rosseggi
tra le foglie.

INTORNO LA NOTTE
Intorno la notte.
Tutt’intorno. Alle porte.
A grappolo nel salone splendono i lampadari,
ridono le signore, facendo tintinnare le collane.
Brilla un dorato vino nelle coppe.
Intorno la notte.
Tutt’intorno.
Alle porte.

FEBBRE
Il giorno ha chiuso il suo cerchio,
la notte sfoglia tranquilla i minuti.
Strepita e sfarfalla una civetta
sul tetto di casa.
E’ solo un delirio, cara,
la tua febbre che brucia.
Adesso è passata,
è tornata fresca la fronte, serena.
Tranquilla sfoglia i minuti
la notte.

LA FESTA
Non ci aspettavano:io e mia moglie,
le pecore nere, il disdoro della famiglia.
L’invito era stato una pura formalità.
“Non verranno, è evidente!”
sentenziò un cognato saccente.
E invece arrivammo trai primi,
tra gentiluomini in frac,
severi colonnelli in pensione,
zie grasse in nero lamè.
Arrivammo con raccapriccio di tutti,
un po’ alticci e quasi desabillés.
Che bella festa!
Per noi, si capisce.

L’ISOLA DEL TESORO
Sul più alto pennone, dondola l’impiccato.
Gamba di legno ha una risata che raggela,
con occhi torvi e guerci, bercia la ciurma.
Vola, le nere vele al vento, la nave dei corsari.

UN’ETA’ PERDUTA
Un’età perduta, forse solo sognata,
la nostra giovinezza:
una lanterna tremula
si accende nel folto della bruma
e ci saluta, da rive irraggiungibili.

SMARRIRSI E’ GIÀ MORIRE
Smarrirsi è già morire,
in queste strade che si svenano
alla periferia delle città.
Non c’è pietra antica che ti leghi
al passato, non volti che conosci.
Le chiare voci dei ragazzini
dicono che un’altra vita nasce,
qui dove la tua si spegne.

SI E’ FATTA…
Si è fatta più disponibile con gli anni,
la donna dai mille scrupoli:
basterebbe adesso che un muratore
schioccasse le dita per farla entrare nel letto.
Ma il muratore lavora sul tetto
e non la vede passare.

CERTO NON REGGERÀ
Certo non reggerà, il mio mondo di sogni
e di pensieri, allo scempio del corpo.
Resteranno frammenti, le parole dette
e capite, e le parole non dette,
poveri semi dispersi tra questa gente
che lavora con me.

ATTIMO DI FELICITA’
Il nostro amore non è saggio,
ma la saggezza ha le spalle curve
e la fronte solcata dalle rughe
e noi amiamo la vita.
Aprire la finestra
e credere nel giorno;
l’alba che trema sulle case,
il chitarrare di cicale nel pomeriggio;
la sera che ci avvolge nel suo scialle,
ancora vicini per un poco.
Urlino i venti della notte,
cavalchino i loro neri cavalli
i profeti di ogni sventura.
Il mondo è qui, nel momento,
e sul tuo petto che sussulta.

NOTTI D’AMORE
A Londra-Roma-Copenaghen
quante notti d’amore sulla terra!
“Per quanto mi amerai?”. “Per sempre”
giurano gli entusiasti ed i bugiardi.
“Per molto tempo”, dicono i prudenti,
e si sa che il concetto di tempo è relativo.
“Per questa notte”, sussurrano i pirati
e le vittime dell’amore.
Quante notti d’amore sulla terra,
tutte diverse e tutte uguali!

ADESSO PUOI ANDARE
E adesso puoi andare, sposa, madre, amante,
confidente, infermiera, sorvegliante:
troppo! Troppo!
Adesso ho bisogno di una sgualdrinella che
sia tutto il contrario della virtù.

EPITAFFIO
Non fu collerico e rissoso,
non sempre fu giusto. e non è facile esserlo,
seppe ascoltare e cercò di capire,
non sempre offrì la guancia
(non era un coglione),
a volte usò il pugnale.
Adesso dorme e ha per compagni un merlo
ed un cipresso.
C’è chi in morte volle, e poté avere,
Piramidi, chi si accontentò di un fiore,
per lui quest’epitaffio
pazienti eredi posero.

TORTA FLAMBEE
Nel salone hanno spento le luci.
Torta flambée per la serata di gala.
Fauni panciuti volteggiano i camerieri.
Dal buio, al breve fuoco, mi ritorna disfatto
il tuo viso.
Si accendono mille lampadine
ed eccoci impeccabili,
già pronti alla danza.

IL MORIBONDO
Il cancro gli va modellando il teschio,
scultore veloce e accurato.
Barricata nelle ultime cellule del suo cervello,
la speranza beve ancora,
da uno sguardo, da una parola,
dal cielo della sua finestra,
una sorsata di vita.

CHIAMATE GLI SCIAMANI
Chiudete i libri,
licenziate i filosofi,
sbriciolate i vetrini e le colture:
sta morendo un bambino;
con occhi inconsapevoli,
sotto un ciuffo che è stato sbarazzino.
Chiamate gli sciamani,
che su una piroga di foglie
frusciante come culla
per lenti fiumi lo accompagnino,
dolcemente, fino al mare.

LA MIA CASA
La mia casa è una luce che trema
tra mille luci aggrappate alla collina.
Dalla finestra scivola la luna
e porta ai miei bambini
fiumi d’oro
per i loro piccoli sogni.

PIANURA PADANA
Qui regna la nebbia
e affonda tra le case
in muri di silenzio.
In questo mare,
squali con gli occhi gialli,
vagano le nostre automobili impazzite.

IL SERRAGLIO
In questo grande serraglio,
ecco i bambini col fiocco azzurro
ed il grembiule di scuola,
vecchi con un’ombra dentro gli occhi,
gli amanti immersi come api
nel nettare di un bacio.
I guardiani sono vestiti da angeli,
e stanno al di là delle nubi.

FLUIDA NOTTE
Fluida notte.
I relitti di ieri vanno alla deriva,
le navi al largo già avvistano il domani,
splendore d’acque sul filo d’orizzonte.
Non c’è sosta o fastigio.
Mare plumbeo, riverberi di luna,
barbaglii di un remoto sole.
Dal regno di luce ecco il cormorano,
l’inconsapevole messaggero.

PAROLE DIMENTICATE
Mi innicchio in parole scovate
in antichissimi vocabolari,
dimenticate, misteriose, sonore,
conchiglie di un perduto mare.
In quest’eco io mi riposo.

UN GIORNO
Andavamo come i giovani animali guidati
dalla vista e dall’olfatto.
Un albero di prugne, un roveto lucido
di more, sulle pietre bollenti attonito un ramarro.
Andavamo immemori del tempo,
mattino e pomeriggio, parole senza senso.
Quando la sera dilagava dentro i boschi,
come un esercito disfatto ritornavamo
al fumo della casa.

SCRIPTA MANENT
Illudendoci di non morire
del tutto,
che qualcosa di noi sopravviva
oltre il tempo della vita,
mettiamo nel cassetto
qualche nostra povera poesia,
qualche fragile racconto.
Approfittando dei nostri giorni
di vacanza,
la cameriera
molto amante dell’ordine
– Dio quanta cartaccia!-fa più viva
la fiamma del camino.

GIORNI DI PIOGGIA
In questi giorni di pioggia,
così avida la terra di impregnarsi,
sentite come ci chiamano i morti,
con che voce.
Vicina è l’ora di partire.
Turgida sulla foglia,
la goccia non è mai stata così viva.

QUANDO MI PREPARO ALL’AMORE
Quando mi preparo all’amore io sono un sacerdote:
sgombro l’animo dalle tempeste e lascio nascere la gioia.
Muoio e risorgo,
e infine giaccio, spossato mare,
che ascolta la sua onda quieta,
smemorato.

UNA MADRE E UN FIGLIO
Ancora, madre, ci lega il ricordo
di quei roghi, degli schianti della guerra,
di quei morti.
La sorte da qualche tempo ci risparmia,
torero spavaldo e astuto,
sa che adesso le basterebbe un solo colpo.
E viviamo in un nostro limbo
di vecchie carte, di canterani
che si lamentano.
Il presente è un missile
che non ha angoli per ragnatele.
Usciamo,
tu tutta bianca e io già un poco curvo,
due dagherrotipi nell’empietà della luce.

NO ALLA CACCIA
Perché volete ucciderli,
questi nostri compagni di viaggio,
come noi così disarmati di fronte al mistero della vita?
E non vi agghiaccia il silenzio
che segue lo sparo,
questo freddo di morte che avete evocato?

ALL’ALBA LA CIVETTA SI E’ STANCATA
Cento volte la civetta è volata
dal bosco al tetto della casa,
cento volte la vecchia ha chiuso
gli occhi (sarà morta?),
e cento volte li ha riaperti.
All’alba la civetta si è stancata.

I CAMERIERI
Oh i camerieri impettiti,
gli occhi di tartaruga,
i visi di antichi egizi,
quanti amori hanno visto fiorire
tra un gin fizz e un negroni,
quanti crolli, quanti abbandoni!
I camerieri nelle loro giacche arabescate,
immobili come stalattiti.

MIRACOLO RADIOFONICO
E’ sempre un miracolo questa voce
di donna russa che arriva nella notte,
e ti regala un coro di cosacchi
e canti e balli fino all’alba.
La stanza ha gli orizzonti della steppa.

SERA DI PAESE
Bisbigliare di vecchie sulle soglie,
nere ombre piegate dal lavoro;
poi la sera addensa le sue brume.
Restano le voci al fondo dei vicoli.,
più dolci, lontane,
come da un altro mondo.

UNA GRANDE LUNA
Come gatto che socchiude gli occhi,
una grande luna ci guardava,
quando eravamo più audaci nell’amore
– il nostro abbaino era vicino al cielo-.
La felicità aveva novantasei gradini,
una porta cigolante, un piccolo letto,
e una notte lunga tutta per noi.

A UN ERUDITO
Le tue cataste di libri,
le analogie, i ricorsi storici,
non valgono un cazzo!
Noi mettiamo tacche sulle piante
per ritrovarci un sentiero alla sera,
tu esamini frammenti,
sei lo scriba di poche sillabe.
Non parlarmi del destino dell’uomo
e del suo senso.
Perdio, che almeno a questo ti servano
le ore passate in biblioteca!

RAGNATELA
Vivo nella ragnatela dell’ora,
raccolgo raggi di sole.
Non costruisco palazzi di certezze,
annodo paziente i fili di una parola incerta
e di un discorso faticoso.
Animale sapiente, saluto il mattino del giorno,
e non pretendo la sera.

ALBA DEL LUNEDI’
Non più le ombre compiacenti della sera:
un livido mattino fruga nei nostri volti,
stana i nostri segreti e li scrive sulla faccia.
L’uomo-noia, l’uomo-solitudine,
l’uomo-sconfitta,
sono tutti con noi ad aspettare il treno,
sotto la pensilina del binario tredici.

CIELO PROFONDISSIMO DI STELLE
Cielo profondissimo di stelle,
e noi legati a una forma, una misura:
il quadrilatero del tetto,
il rettangolo del prato,
l’ovale delle piazze.
La terra ci trattiene, ci nutre
e poi ci uccide.

IL RICAMBIO
Il ricambio è continuo, a stillicidio,
e chi resta s’aggrinza, rincoglionisce.
Vivi in una folla di estranei,
di nati dopo, di nati altrove,
che se ne fottono dei tuoi ricordi,
delle medaglie, delle tue vecchie carte.
E ti leghi ai cimeli, al pennello da barba,
alla vestaglia lisa, al cigolio del cancello che non muta,
alla casa-prigione, alla serva-padrona
che sciabatta da tempi immemorabili,
ai suoi impossibili menù…

NEBBIA
Leggera dal fondo valle
è salita la nebbia,
un mare bianco ha sommerso
le case, addolcito ogni grido.
Ovattato scampanare di greggi,
ombre fugaci come fantasmi.
Il calendario impazzito
percorre a ritroso la corsa dei giorni.
Tutto è intatto al di là
del fragile muro.
Il sole dissolve i castelli di nebbia,
riemerge il mio viso
segnato dal tempo,
sgomento dell’ora che passa.

INCERTEZZA
Oscillo tra san Francesco ed Epicuro,
tra la meditazione pura in una bianca cella,
e i baccanali osceni di taverna.
Sono indeciso, lo confesso.
Sono costretto al gioco pendolare,
con un santino al collo
e l’indirizzo di un bordello in un taschino.
Oscillo.

INVERNO A CASARSA
Neve fitta sul tuo sonno
e nugoli di passeri a beccare
le briciole dei tuoi fiori secchi.
Nella tua terra riposi massacrato.
E adesso è più ferma la tua voce,
alta. Non la spengono più.

SOLITUDINE
Tre parole per telefono
– una corda buttata -” Fatti coraggio.Passerà”

PRIMAVERA
La morte ci coglierà così, increduli,
come increduli ci colse il primo bacio,
il primo mattino della primavera.
Saremo l’oro delle api,
la gemma sul ramo secco,
saremo anche noi la primavera.

VITA SUL FIUME
La nostra vita è in questa fuga di paesaggi,
il colpo sonoro della pala lungo il grande fiume,
l’attimo di respiro tra i colpi di remo.
La nostra vita è questa attesa assurda,
i visi di pietra dei pescatori,
ogni voce inghiottita dall’acqua,
come se un vento benefico potesse con le foglie morte,
modellare golette per le nostre illusioni.

MALATTIA
E la mano ritorna a gesti disusati,
sfiora i capelli, accarezza le guance,
si posa sulla fronte arsa dalla febbre:
per il suo uomo ammalato la donna
ha ritrovato una stagione perduta,
ha messo fiori sui rami seccati dal tempo e dalla noia.
E l’uomo nel delirio vede solo la luce degli occhi
e non un volto stanco, segnato dalle rughe,
rivede l’amore a fianco del suo letto.

LA STAZIONE ERETTA
La stazione eretta insidia la colonna con l’artrosi,
e più ancora sgretola il cervello:
l’immensità e l’eterno aprono dentro il cranio,
eldoradi e campi elisi, paradisi e purgatori.
Non sentiamo più i suoni d’amore degli insetti,
la terra tra le dita, persi in questa boria di cartapesta che è la storia.
Da tempi immemorabili nascono messaggeri,
profeti e incaricati che soffiano sul fuoco
di questo nostro restare,
con scudisci di sangue si giocano monopoli di salvezza.
Come un beota va l’uomo con la fronte al cielo.

A CIASCUNO LA SUA TROMBA
Suonerà la tromba: del giudizio per te,
per me la tromba della sera,
una bonaria tromba di caserma
che saluta il crepuscolo.
Tu dovrai aspettare, secondo le scritture
– nella valle di Giosafat sarete miliardi.
Sordo al richiamo solenne e perentorio,
resterò nel mio quieto sonno d’infedele,
al buio che non rinnego.

CAMERE SEPARATE
Amore dolcissimo, camere separate!
So bene che avevi sognato un vasto letto in comune,
conosco i vantaggi di allungare una mano
e trovarsi tra le dita un capezzolo,
essere con una capriola sul tuo ventre.
Ma questo è uccidere l’amore.
Verrò nella tua stanza con le prime ombre della sera,
o nel cuore della notte,
o al chiarore dell’alba.
Mi infilerò nel tuo letto di soppiatto,
come un ladro: il nostro amore avrà sempre
il gusto aspro e impagabile di una mela rubata.

LA GENETICA
Grande è la compagnia degli sbandati.
I ladri
i sognatori
le puttane
i poeti e i pittori da strapazzo
gli invertiti
gli eroi di tutte le bandiere
i pazzi
i filosofi falliti
gli inventori di brevetti inutili
i fondatori di nuove religioni.
Di questa banda allegra e disperata
– dipende dalle sere io faccio parte, e non come soldato di ventura:
ci lega un patto di sangue firmato al chiaro della luna,
come usano gli zingari.
Abbiamo in comune un’antenata
“nonna genetica”.
E ci ha fottuti.

IL GIRO DELLE STANZE BUIE
Gemeva un armadio ad ogni mio passo,
cigolava il pavimento,
io camminavo con il cuore in gola,
temendo ad ogni porta l’ombra di una strega,
di un ladrone, di una zingara,
fino a riemergere – il viso ancora bianco di paura – nella grande luce del tinello,
dove mio nonno, con crudeltà sottile,
pagava il mio coraggio con una monetina di nessun valore
“tanto è un bambino”.
E non sapeva che io affrontavo quel giro,
non per la sua moneta, ma per potermi
incontrare tutto solo con il buio,
che mi atterriva, e a un tempo mi attirava.

NON MI PARL ARE, TI PREGO
Non mi parlare, ti prego come si parla ad un giudice.
Non ci sono uomini sul piedistallo, anche se hanno fregi e pendagli.
C’è un muro d’ombra davanti a noi
e un muro d’ombra alle spalle.
Ci muoviamo in una striscia di luce
che è la nostra povera e grande vita,
tu, io, l’idiota e l’assassino.

SOGNO
Quando i cervi si fermano al limite del bosco,
e la radura, bianca di luna, è la pista di un circo
che ha il cielo per tendone,
tu, tutta nuda, balli solo per me.

POTESSI ADESSO
Potessi adesso accarezzarti le spalle,
sotto di me il tuo corpo nudo con l’anima negli occhi,
leggeri e luminosi correrebbero i treni della notte,
e non si porterebbero via brandelli del mio desiderio.

VECCHI IN CHIESA
Gialli, stopposi,
qui naufragati nella frescura delle navate,
davanti agli ori degli altari
mormorano antichissime litanie,
carezzano con l’ossuta mano amuleti
passe-partout per l’imminente eternità.
Neppure alzano il capo al primo sole,
che su, dalle vetrate, fa ridere gli angeli paffuti.

IL BANCO DELLE ANGURIE
Una sorta di felicità che mi è negata,
essere con gli operai intorno al banco delle angurie,
addentarne una fetta, pulirsi la bocca
con il dorso della mano,
senza assilli di tempo e senza ambasce.
Non mi parlate dei bassi salari,
delle case malsane e del lavoro che uccide.
Non sto dicendo questo.

TU TEMI
Tu temi le infezioni, il malocchio,
i temporali.
Hai ragione, ma sono mille i mali
che tu devi scansare, ti devi affinare
come una bestia braccata, guardingo ad ogni insidia.
Penso che ti convenga vivere in allegria,
sia quel che sia.
Su ogni fronte c’è un segno,
un delizioso geroglifico che un angelo
ha dipinto il giorno che sei nato.

IL SONNO DEI RICORDI
La mia casa è coperta dalla polvere del tempo,
si arriva per viottoli nascosti da cespugli,
non ha più voce se non quella del vento,
che soffia nelle stanze vuote e grida nei camini.
Giacciono seppellite nei giardini
le spade dei nostri giochi,
e ad ogni anno l’autunno butta foglie sopra i nostri amuleti.
Faticoso è ritornare anche nel sogno,
sbarrano il passo grandi ragnatele
e la voce dura di un guardiano:
lasciate i ricordi ai loro sonni.

UNA SERA
Adesso mi ritorni intatta alla memoria,
quante persone ho conosciuto, e piazze e strade e vicoli,
quante voci ho ascoltato e musiche e rumori.
La mia corsa inutile approda a questa sera di silenzio.
Qui tu sola hai posto,
come quando ti stringevo nell’arco delle braccia,
e ancora non sapevo tutto il freddo del mondo e la sua pena.

L’IMPROVVISA PRIMAVERA
Come svelto fiorì il campo,
o forse quietamente,
ma noi per giorni e giorni non gli badammo,
così, volgendo gli occhi,
d’un tratto ci colpì,
tra il verde, l’improvviso garrire dei papaveri.

CONDOMINIO OPERAIO
Nel condominio operaio,
tanti buchi per uomini-formiche,
al settimo piano c’è una finestra più graziosa delle altre,
perché là, al chiaro giorno,
pettina i suoi capelli la donna che io amo.

GLI IDOLI
Monete,
monili,
pendagli di pessimo metallo,
immarcescibili idoli.
Quando di noi sarà persa ogni memoria,
e solo radioamatori folli crederanno
di udire le nostre voci da sperdute galassie,
voi ridipinti, in altre fogge forse,
sarete ancora gli splendidi compagni
di chi, dopo di noi, camminerà su questa terra.

NESSUNO CI ASCOLTA
Nessuno ci ascolta. Nessuno.
E’ inutile picchiare alle porte,
perché non hanno risposta.
Gli angeli precipitano
con ali accartocciate,
centrati dai cannoni della scienza.
E cosa metteremo adesso
nei cieli rimasti vuoti?

AD UN ONOREVOLE
Sapeva per innata scaltrezza
che non la violenza o l’amore
la verità o la passione
sono le armi più potenti,
ma la parola.
E non i significati
ma il tono,
il modo,
il momento esatto.
Cesellatore di vocaboli,
creatore di echi,
visse perfezionando il suo linguaggio,
modulando,
accostando con sapienza,
con destrezza,
dolcissimoiracondoimplorantedisperatosempre suadente,
apparentemente sincero,
coprendo con parole chiare
significati oscuri.
Visse per l’involucro,
sapendo l’importanza della carta argentata,
dei fiocchi, dei nastri.
Ignorò, noncurante, l’essenza.
E ad ogni elezione,
puntualmente, facilmente, elegantemente/ risultò trionfante.

vai a “Il treno per Parigi”

vai a “La stanza delle pere”

 

What do you think?