Nina Cassian

Nina Cassian

Nina Cassian

Nina Cassian – biography

da “C’è modo e modo di sparire” Poesie 1945-2007, Adelphi Edizioni 2013

ERMETICA
Se ci fosse un luogo dove conficcare un altro grido
quale potrebbe essere, la roccia o il mare
o l’occhio dell’uccello della notte, fisso e tondo, duro come la pietra,
giallo come la luna?
Ah, tutto è impenetrabile.
E il grido viene fuori dalla bocca
pendulo come la lingua dell’impiccato.

VEGLIA
Ero bella, quando mamma moriva.
Avevo pianto e vegliato. E i miei occhi angusti
ringiovanivano sullo specchio del mio volto.
Lei non mi guardava più. Poteva venire
il peggior bandito a spaccarmi il cranio
ma la sua mano non si sarebbe levata
in mia difesa.
Eppure ero bella, come mi desiderava lei,
e la primavera era alle porte: un verde umido
di frammenti vegetali, corrugati,
minacciava di graffiare a sangue il giardino.
Ma prima di allora mamma moriva
ignara di tutto e di tutti
imbrattando il cielo di un sospiro
più impetuoso che mai
– e io contavo
e c’erano venti sospiri
intensi, e dieci appena percepiti,
mentre la notte s’imbiancava adagio
e solo la pioggia colpevole
di nero intonacava il mio muro esterno.
Eppure ero bella, intenta lì a contare
quei sospiri di lotta
ma lei non mi vedeva.
E d’ora in poi nessuno mi vedrà
in quel modo, mai.

L’ALDILÀ
Ne scrivo apertamente
anche se mi terrorizza.
Nomino un gabbiano
e l’ombra sua mi copre
e l’ombra del suo becco mi trapana il cranio
e un’ombra di sangue mi riga la guancia.
Dico <fame> o <addio>
e <fame> affonda gli occhi dentro l’orbita,
<fame> mi sdilinquisce il petto e il grembo,
arriva <addio> e lacera l’amore,
<addio> mi apre a forza le braccia
e fa cadere tutto a terra.
Mettendole per iscritto volevo liberarle e invece quelle
non sanno fare altro che azzannare e divorare;
solo ammazzando si sentono libere.
Non credono nell’aldilà del Verso.

LA TENTAZIONE
Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto.
Per la prima volta vedrai i pori schiudersi
come musi di pesce e potrai ascoltare
il mormorio del sangue nelle gallerie
e sentire la luce scivolarti sulle cornee
come lo strascico di un abito; per la prima volta
avvertirai la gravità pungerti
come una spina nel calcagno
e per l’imperativo delle ali avrai male alle scapole.
Ti prometto di renderti talmente vivo che
la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili,
che le sopracciglie diventeranno due ferite fresche
e ti parrà che i tuoi ricordi inizino
con la creazione del mondo.

Io sono io.
Sono personale,
soggettiva, intima, singolare,
confessionale.
Tutto quel che mi accade e si ripete
accade a me.
Il paesaggio che descrivo
sono io stessa.
Se vi interessano
gli uccelli, gli alberi, i fiumi,
consultate i libri degli esperti.
Io non sono un dato uccello,
un dato albero,
un dato fiume.
Io sono registrata solo
come un Sé,
Io, ovvero Io.

CEDERE IL POSTO AGLI ANZIANI E AGLI AMMALATI
Viaggiavo in piedi
eppure nessuno mi offrì il posto
anche se ero di almeno mille anni più anziana,
anche se portavo, ben visibili, i segni
di almeno tre gravi malanni:
Orgoglio, Solitudine e Arte.

TIRATA DEL PENULTIMO ATTO
Vi lascio, vi lascio, non vi toccherò mai più.
Io non ho più nulla da dimostrare.
Non vedo dunque il motivo di rinviare ancora
questo naufragar di cellule
chiamate mani, occhi o bocca
nell’argilla paziente, nell’argilla che
non mi aspetta né mi reclama,
stanca ormai della certezza
che le appartengo, nell’orizzonte nullo.
Ho detto quasi tutto quello che sapevo,
persino la menzogna ho pronunciato con devozione
poiché l’ho vista esister, prender corpo,
farsi viva come una foglia
o una lepre – e io non sono riuscita
a ignorare, mai, creatura alcuna.
Vi lascio – anche perché sono estenuata
nel vedere come ogni secolo si rovescia
in quello precedente, come se
il latte succhiato dal neonato ritornasse
nel seno della madre o, ancora peggio,
come se la fronte di un filosofo
si assottigliasse tesa verso estinte,
irsute e rampicanti specie.
Qualcosa ho imparato, lontano tuttavia
dagli studi e da quella sacra minuziosità
degli affidabili in-folio – ma piuttosto
dal freddo e dal calore, dalla nascita, dalla morte,
da tutto quello che – ahimè! – non si ripete
e dunque non può essere usato
come esperienza. Sono rimasta altrettanto
vulnerabile, ho conosciuto da vicino
mille oggetti e stati d’animo
ma non sono riuscita a chiamarli per nome
senza che si allontanassero
mutando forma oltre ogni limite,
gettandomi nello sconcerto come in un lago di sangue.
Vi lascio, non vi toccherò mai più. Mi avete detto
così tante volte che non vi vado a genio
anche se ho disegnato con attenzione il mio ritratto
sempre seguendo la vostra traccia. Però,
a quanto pare, non riesco a imitar nulla,
non ho né l’abilità né il dono
di somigliare a voi, e neanche a me stessa.
Sorrido – e tutto viene travisato
per un ghigno! Rido – e la gente si gira
rimproverandomi per l’indecenza.
Quando piango – l’occasione non è felice, perché ecco,
proprio oggi è festa in città.
Faccio una statua – e la folla grida:
«Si sta facendo un idolo!». E quando languo
per una grave malattia – viene considerata
un’ipocrisia del mio corpo intristito
per scatenare una strisciante epidemia…
Vi lascio, vi lascio, vi lascio…

PREGHIERA
Se esisti per davvero – fatti avanti,
sii nuvola, caprone, aviatore,
porta con te occhi, bocca, voce,
– chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi,
prendimi tra le braccia, proteggimi,
nutrimi con la settima parte di un pesce,
fammi un fischio, dissodami le dita,
ricolmami di aromi, di stupore,
– resuscitami.

TAPPEZZERIA
Un piede nella fossa
e l’altro sulla tigre impallinata
– così vedo
la mia sconfitta e la mia vittoria
in questa scena venatoria.

POETI
Fanatici della quinta ruota,
pericolosi cavalieri lunari,
i capelli verdi a ostruire gli occhi
per non vedere dove son diretti,
mani staccate dalle redini,
corpi straniati da cavallo
e sella.
Solo nudi allungati
sotto le pieghe della notte
che squarciano al galoppo.
Solo nudi ciechi in corsa verso quel globo dove un
. Dito Enorme
tracciò un tempo una bocca e tre narici
e appese una lacrima di polvere
su un occhio inesistente
e scrisse qualcosa di remoto
– qualcosa che nessuno sa decodificare.

LA QUARTA SCIMMIA
Nella ben nota posizione ‘assisa’
come le Tre Scimmiette – Una Non Vede,
Una Non Sente, Una Non Parla –
con la cenere della sigaretta
che cade sulle cosce nude,
davanti a me il mare,
dietro, la morte,
saggio tra i denti una sillaba di eternità
come se fosse una moneta dubbia.
Le unghie si ritraggono,
si gonfiano le dita.
Non scivolano più
sotto il ponte abbattuto dei miei anelli.
Sono la Scimmia Condannata a Scrivere.

ALLE PRESE CON IL CAOS
I miei visitatori sono:
un signore interrotto nel mezzo,
una donna continua
e la loro figlia di latta,
un professore che insegna formaggio,
un assassino raffreddato, una colonna
di formiche nubili,
un albero coi baffi,
una cicogna giovane,
un bambino con una gamba di cartone
e tre che ignorano le leggi del moto.
Alla fine compare
il cane della sera
abbaia forte
e li caccia tutti via.

IL PENDOLO
Entra nella sua canzone,
penetra nella sua melodia,
tu stesso sii cucù o rintocco,
disvela il segreto dell’essere.
Non scordarti di mungere a ore fisse
quando gli uberi o i testicoli dorati,
turgidi del seme del tempo, calano.
Anche se le lancette
sono due sopracciglia aggrottate.

INFESTAZIONE
Un tappeto di farfalle morte ai piedi,
morte e morbide
(loro non hanno il rigor mortis).
Io godo di ottima salute.
Ho tirato fuori il fegato,
ho estratto i polmoni,
ho estirpato il cuore
e non mi fa più male nulla.
Tramutarsi in fantasma
è una soluzione
che vi raccomando freddamente.

LEMURE
Alita intorno
Lemure,
lo spirito dei morti.
Asciuga la mia pelle ancora rorida
di bava marina.
Raffredda il mio sangue.
Mi guarisce dai cinque sensi.
Sono soltanto nostalgia e amore di te.
L’arciere è scomparso.
Solo la sua freccia di platino
mira ancora alla tua astrazione.

GINNASTICA MATTUTINA
Mi sveglio e dico: sono perduta.
È il mio primo pensiero all’alba.
Comincio bene la giornata
con questo pensiero assassino.
Signore, abbi pietà di me
– è il secondo, e poi
scendo dal letto
e vivo come se
nulla mi fosse accaduto.

Sereno
Sarà un tempo sereno, un tempo da inni.
Con un sol gesto l’aria fenderò,
pronuncerò solo parole immacolate.
Dirò “cielo”, “fonte”, dirò “sole”
e “lacrima” e “musica”, “immunità”.
Sarà il tempo in cui il mio ricordo
non sarà sfiorato da eco di massacri
ma da aliti soavi di poesia
ché a volte anche il sangue alita.
Di tutto quel che un tempo era promiscuo
conservo solo il sacro e mossa al perdono
loderò i contrasti perdonanti.
Dirò “cielo” e “sole” ma anche “musica”
e sarà “sole”, “musica” e “cielo”
intorno a me e intorno al mondo.
Le vocali assumeranno, naturali, la loro gloriosa aureola.
E verrà il tempo sonoro, scintillante,
un tempo solenne e puro, un tempo da inni
e verrà un giorno il tempo! Oh se verrà!