Robert Lowell

Robert Lowell

Robert Lowell

 Robert Lowell – biography
Prego per la memoria –
una vecchia tartaruga,
distratta, inelastica,
tenuta a galla perdendo contatto …
non più capace di sibilare o alzare
un inutile scudo contro l’uccisore.
Le tartarughe invecchiano, ma l’amore le spinge ad avanzare,
fossili semi – congelati, eppure cavalieri erranti
in un’illusione di corazza.
Le più piccole si arrampicano sulle rocce per cuocersi in pace.
Le tartarughe azzannatrici stanno solo sommerse.
Sono sopravvissute … non grazie alla filantropia dell’uomo.
Le cacciavo durante le vacanze scolastiche.
Calpestavo la distesa di paglia galleggiante
che si staccava dai molli nidi dei ratti muschiati.
Qua e là, una tartaruga solitaria
allungava lo scuro cappuccio francescano
da una di venti buche d’acqua.
In quell’intruglio, misi il piede
sul dorso liscio, invisibile, di una tartaruga.
Fu come sfuggire alle sabbie mobili.
La tirai su per ciò che pensavo fosse la coda –
una coda ? Stringevo una zampa anteriore.
Avrei potuto perdere un dito.
Stamane che
la doppia lucentezza del sole invernale
mi sveglia dalla pellicola del sogno,
la mia camera da letto è diversa. Vedo
tre tartarughe azzannatrici acquattate sui miei vestiti in disordine –
due rozzi ceppi neri … la terza mi strofina il muso addosso,
vestita in un guscio giallo trasparente,
un cucciolo che guaisce e pizzica
la mia camicia vuota in cerca di latte.
Sono stantie e ansimanti;
ciò che è morto in me risveglia il loro appetito.
Quando respirano, sembrano spaccarsi in due,
accucciate immobili in punta di piedi
con sorrisi sghembi
e nomignoli liceali sulla lingua,
come se volessero rivivere
la crudezza che ci fece incontrare come animali.
Niente è passato fra noi tranne il tempo.
“ Ti sei chiesto dove eravamo questi anni?
Eccoci.”
Stanno lì come un bagaglio –
la mia vecchia amica , la tartaruga … Troppi film
hanno urlato dalla bobina … alla seconda visione,
l’azzannatrice non molla fino al tramonto –
nella terribile istantaneità dello sguardo retrospettivo,
il suo becco
mi tira sott’acqua per il collo annegandomi,
mentre con gli artigli mi spolpa
per farmi abbastanza piccolo da inghiottirmi.

 ∗

DEPRESSIONE MATTUTINA
L’acqua del bagno schiamazza nella vasca, dieci minuti, venti,
spire di fuoco e bolle disoccupate che si raffreddano;
sono denudato, continuo a calcolare se ce la faccio
a sopportare il freddo del mattino e il suo abbigliamento.
La stanza da bagno è scialbata di luce,
i piccioni gonfi ed eccitati scuotono le penne –
col tempo essi scorderanno la finestra;
io non posso – io, in fuga senza un davanzale.
Sulle scale ricoperte di tappeto le tue scarpe battono,
battono più vicine, e si ritirano distrattamente,
si ritira la vita come da una puntata a poker.
La vita è davvero ritirata, ma dopo tutto lo sarà…
È più sicuro fuori; all’aria aperta
l’auto che corre per urtarci ha spazio per sterzare.

 ∗

DALL’ALTRO CAPO DEL TELEFONO
Il mio eludere e il mio andare per vie oblique, incapace
d’accettare l’ovvia verità su qualsiasi argomento –
perché faccio quel che non voglio dire,
capace di comprendere e non di ascoltare?
La tua voce puntuta – ne ho avuto abbastanza –
centinaia di parole al minuto, penetranti e squillanti…
l’invincibile forza vitale di ogni cosa vivente,
che tintinna giù dollari d’argento ad ogni parola…
Non fu l’amore quel che andò in rovina, tenemmo nostra figlia;
che cosa sia un buon padre non è vanto di nessuno –
essere ancora amici quando non si è più bambini…
Perché parlo a bocca spalancata?
Ti parlo per cavo transatlantico,
stiamo quasi parlando l’uno nelle braccia dell’altro.

 ∗

SCARPE
Troppi vanno spediti all’estremo riposo,
facendo il buffone, avanti e indietro sull’orlo della vita,
un piede di qua, e con poco diritto anche a quello:
“Ho dovuto troncare questa faccenda,
non potevo più aggredire il mio medico,
ha perso il coraggio cercando di fuggire la vita…”
“Dove io non sono” canterelliamo noi “è dove sono”.
La depressione ripulisce la nostra macchia.
Le mie scarpe? Mi piantarono ieri sera
e guizzarono via nel barbaglio nebbioso?
Vedo due scarpe da tennis bianche, sporche, bucate,
vuote e piantate sullo stretto sentiero.
Non ho dubbi dove andranno. Camminano
l’unica vita offerta tra le molte prescelte.

 ∗

FOCHE
Non più noi se dobbiamo vivere di nuovo; potremmo
diventare foche, ci tratteremmo meglio:
capaci di gingillarsi, capaci di lanciarsi come siluri,
a perfetto nostro agio nei nostri tre elementi,
scoglio, acqua e cielo – se l’uomo potesse trattenere la sua mano…
Traversiamo il porto pagaiando, macchie e chiazze e membrane di petrolio,
tanto più azzurre dell’acqua, le crediamo cielo.
La creatura potrebbe affrontare il creatore in questa veste,
pescatori di pesci non di uomini. Un qualche agosto,
la foca tranquilla potrebbe dire, “Non m’è riuscito dormire
la scorsa notte; di colpo sapevo scrivere il mio nome…”
Allora tutte le foche, come noi preternaturali,
si orienterebbero, farebbero rotta per il Nord – il loro porto
ghiaccio verde in una terra verde mai erba.
SEALS
If we must live again, not us; we might
go into seals, we’d handle ourselves better:
able to dawdle, able to torpedo,
all too at home in our three elements;
ledge, water and heaven – if man could restrain his hand…
We flipper the harbor, blots and patches and oilslik,
so much bluer than water, we think it sky.
Creature could face creator in this suit,
fishers of fish not men. Some other August,
the easy seal might say, “I could not sleep
last night; suddenly I could write my name…”
Then all seals, preternatural like us,
would take direction, head north – their haven
green ice in greeland never grass. 

RETE DA PESCA
La chiarità di ogni cosa che improvvisa ci abbaglia,
i tuoi vaganti silenzi e brillanti scoperte,
delfino scatenato ad afferrare nel loro guizzo i pesci…
I poeti muoiono adolescenti, il ritmo li mummifica,
le voci archetipe cantano fuori chiave;
il vecchio attore non sa più legger gli amici
e tuttavia legge se stesso ad alta voce,
il genio culla a morte l’uditorio.
Deve pure avere fine il verso.
Però il mio cuore è fiero, so di aver allietato la mia vita
intrecciando, disfacendo una rete di corda catramata;
la rete rimarrà al muro quando i pesci saranno già mangiati,
affissa come bronzo illeggibile sul futuro senza futuro.
FISHNET
Any clear thing that blinds us with surprise,
your wandering silences and bright trouvailles,
dolphin let loose to catch the flashing fish…
Pots die adolescents, their beat embalms them,
the archetypal voices sing offkey;
the old actor cannot read his friends,
and nevertheless he reads himself aloud,
genius hums the auditorium dead.
The line must terminate.
Yet my heart rises, I know I’ve gladdened a lifetime
knotting, undoing a fishnet of tarred rope;
the net will hang on the wall when the fish are eaten,
nailed like illegible bronze on the futureless future.

SIRENA
Ti vedo come una piccola orca,
libera di andare a caccia per i sette mari,
il cuore caldo con una sottopelle di ghiaccio
il dorso con i nervi scattanti… tutta muscoli, giovinezza, decisione,
e destrezza che adoperi in un allungo o una stoccata –
strappata ora alle conquiste e al mare aperto
per remigare in una pubblica vasca,
un bel divertimento per i bambini della domenica…Amore mio cieco –
in Via Veneto, una ragazza
che conta le finestre da un caffè chiuso da vetri,
ora accigliandosi sul menù, ora scomputando
i pitecantropi abbagliati come pesciolini sul marciapiede…
La tua energia di mezz’ala destra a scuola
rovesciava i ragazzi più grandi, e ti mantiene pura.
MERMAID
I see you as a baby killer whale,
free to walk the seven seas for game,
warm-hearted with an undercoat of ice,
a nerve-wrung back… all muscle, youth, intention,
and skill expended on a lunge or pucture –
hoisted now from conquests abd salt sea
to flipper-flapper in a public tank,
big deal for the Sunday ennui… My blind love –
on the Via Veneto, a girl
counting windows in a glass café,
now frowning at her menu, now counting out
neanderthals flashed like shorebait on the walk…
Your stamina as inside-right at school
spilled the topheavy boys, and keeps you pure

 ∗

ESTATE
1. Harriet, nata il 4 gennaio 1957
Mezz’anno, poi un anno e mezzo, poi
dieci e mezzo – il pathos dei mezz’anni della bambina
che ricompare ogni estate. Il suo Dio una lumaca di mare, Dio una regina
con quaranta servitori. Dio – non continuasti… le cose turbinano
nel morso della sega a catena di qualunque cosa inquadri
l’universo per nome e numero. Per la centesima volta
affettiamo la nebbia e giriamo intorno
al villaggio con i fanali abbassati,
come il primo filosofo Talete che credevo tutto fosse acqua,
e cadde in un pozzo… cercando di trovare la chiave
dell’auto… Non può esser qui, e quindi deve essere là
dietro la prossima curva della strada o banco
di nebbia – accecato dai nostri deboli raggi, un faccione,
bianco quadrante d’orologio, ancora amico della terra.

 ∗

2. Harriet
Una mosca insistente, dorso azzurro, grossa come un pollice – così grossa,
sembra apocalittica nella nostra casa –
sbatte avanti e indietro attraverso il letto della camera della bimba
guardato da un manicomio di animali imbottiti,
nessuno di loro un guerriero. È come un aeroplano
che spolvera frutteti o arabi sul video –
uno dei potenti… uno dei deboli. Inciampa
e picchia il capo di qua e di là,
rendendo più corta una vita malsana e breve.
La uccido, e si aggiunge un altro istante
alla spaventosa manomorta di effimeri:
chiavi, legno corroso dal mare, gusci di ricci
che tu ammucchi con gioia… una mosca morta
spazzata sotto il tappeto, che s’aggrinzisce appagata.

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3. Elizabeth
Un’insolita maturazione nel legno;
ti sposti d’un centimetro e frammenti muffiti precipitano
in segatura dalla vernice alluminio delle pareti,
una volta fresca e brillante, ora divenuta legno invecchiato.
Raffiche del grido smodato del gabbiano
affiocano nella nebbia… Pace, pace. Tutto giorno le nostre parole
erano ami rugginosi – assenzio… Cara Pace-dell’-Anima,
ci riposiamo da tutto il discutere, bere, fumare,
pillole per la pressione, tre paia di occhiali – immersi
nel sudore della nostra supremazia guadagnata con fatica,
offrendo a una figlia il nostro amore coriaceo. Siamo a cinquanta,
e siamo liberi! Da giovane, vacillando allora sull’orlo vertiginoso
della discrezione, non volevi niente,
se non esser vecchia, non far nulla, scrivere a macchina e pensare.

 ∗

5. Harriet
La primavera è passata all’estate – la pioggia cruda e fredda
incalza gli ambiziosi, fiori e giovinezza:
gli sprazzi delle nostre note crepitano per un’ora, e poi
anche noi seguiamo la natura, impercettibilmente
cambiamo il nostro marrone topo in criniera di bianco leone,
il bianco rado che sbiadisce in un cranio lentigginoso, bitorzoluto,
abbronzato dal decadimento, da molti, molti soli…
Bambina di dieci anni, tre quarti animale,
tre anni da Giulietta, mezza Giulietta,
già maturata per la notte sulla scena –
petali bellissimi, che cosa dobbiamo sperare,
sapendo che una possibilità di scelta non due
è tutto quel che ti è concesso, salute oltre misura, pericolosa
a te stessa più pericolosa agli altri?

 ∗

NEW YORK
1. Serpente
Una delle creature di Dio, proprio quanto te,
o quanto Dio; quale altra piega il dorso in spire
o curve in modo così elegante, per cedere su un punto;
fermenta dal sangue freddo un veleno più cocente;
o lancia loro il cappio del dorso stretto alla gola:
uccello isterico, porco selvatico, o stridulo coniglio?
Spesso lo vedo prendere il sole in giorni luminosi e frizzanti,
quando il caldo ha rifluito dalle sue amate rocce;
non ha costure, è squamato nella sua interezza,
avvolto per esercitare indiscriminata malevolenza.
Ultimamente il suo coraggio lo spinse oltre la pazienza dell’uomo;
lapidato, le ferite aperte, trova la sua tana – condannato
ad andare in letargo per cinquant’anni… Si sgelerà, poi ucciderà –
mia piccola frusta di saggezza, agnello vestito da lupo.

 ∗

Escluso dalle vacanze
“Ci sono dei padri che possono aver dei riguardi,
ma lui è così meravigliosamente eccentrico
a bere latte quagliato e portare calzini rossi.
Andava bene – non averlo in Florida;
Firenze è diversa, – Mamma, figurati, due donne
che mangiano sole nel ristorante italiano!”…
Solo Iddio potrebbe distruggere le meraviglie che crea,
e mettere anche te fra quelle, Charles Sumner Lowell,
lucido Gatto birmano color castagna d’India,
che dimeni le tue anche letterarie come Turgheniev,
il nostro animale i cui unici amici son persone-
ospite ora in un asilo per gatti, mosso alla cieca
dall’Amore universale che muove le stelle
sempre a far prove per il perfetto ritorno.

 ∗

CIRCOLI
2. Das ewig Weibliche
Gli uccelli hanno un corpo più bello e un cervello più piccino –
che chiede alle rondini di sfacchinare,
pulire, cucinare, raccattare una beccata di polvere al giorno?
Se bussiamo alle loro case, fremono strette dalla paura,
passando e ripassando infuriate tutta la mattina attorno ai loro piccoli,
minuscoli come vespe stizzose nella loro palla cenerina.
La natura vive della vita che le capita tra mano –
se potessimo sentire e delicatamente toccare il loro essere,
vespa, ape e rondine potrebbero vivere con noi né più né meno come i gatti.
Il ribollente calabrone giallo nel vestito a sacco
con strisce da forzato, corto sopra al ginocchio
viene cantando a casa… animali dai nervi testi, vespa, ape e uccello,
guerriglieri di giorno poi guardiani della cella,
mia moglie nella sua casa di legno di procreazione e alimento…