Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
E’ bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella
Non conoscendosi, credono
che non sia mai successo nulla tra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
in qualche porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio tempo
il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando una risata
si scansava con un salto
Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o lo scorso martedì
una fogliolina volo via
da una spalla a un’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli
su cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti
è solo un seguito,
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.
§
UN AMORE FELICE
Un amore felice. È normale?
È serio? È utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?
Innalzati l’uno verso l’altro senza alcun merito,
i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così – in premio di che? Di nulla;
la luce giunge da nessun luogo –
perché proprio su questi, e non su altri?
Ciò offende la giustizia? Sì.
Ciò infrange i principi accumulati con cura?
Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.
Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono – è un insulto.
In che lingua parlano – comprensibile all’apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che s’inventano −
sembra un complotto contro l’umanità!
È difficile immaginare dove si finirebbe
se il loro esempio fosse imitabile.
Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,
di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,
chi vorrebbe restare più nel cerchio?
Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di tacerne
come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
capita, in fondo, di rado.
Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.
Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.
§
TREMARELLA
I poeti e gli scrittori.
Così infatti si dice.
Ma, se non scrittori, i poeti chi sono –
I poeti – la poesia, gli scrittori – la prosa.
Nella prosa può esserci tutto, anche poesia,
ma nella poesia deve esserci solo poesia –
In sintonia col manifesto, che l’annuncia
con lo svolazzo liberty d’una P maiuscola,
iscritta nelle corde d’una lira alata,
dovrei, più che entrare, arrivare volando –
E non sarebbe meglio scalza,
che con queste scarpe da quattro soldi,
pesanti, scricchiolanti,
goffa sostituzione d’un angelo? –
Avessi almeno un vestito più lungo, più lieve,
e versi che escono così, dalla manica,
da festa, da parata, da grande occasione,
un dan don,
ab ab ba –
Ma là sul palco già guata un tavolino
da seduta spiritica, coi piedini dorati,
su cui fuma un candeliere –
Ne deduco che
dovrò leggere al lume di candela
ciò che ho scritto a macchina
tac tac tac alla luce d’una lampadina –
Senza preoccuparmi in anticipo
se sia poesia
e quale poesia –
Se del genere in cui la prosa è malvista –
O del genere che è ben visto in prosa –
E qual è la differenza,
percepibile ormai solo nella penombra
sullo sfondo d’un sipario bordò
con frange viola?
§
NEL FIUME DI ERACLITO
Nel fiume di Eraclito
un pesce pesca i pesci,
un pesce squarta un pesce con un pesce affilato,
un pesce costruisce un pesce, un pesce abita in un pesce,
un pesce fugge da un pesce assediato.
Nel fiume di Eraclito
un pesce ama un pesce,
i tuoi occhi – dice – brillano come i pesci nel cielo,
voglio nuotare con te fino al mare comune,
o tu, la più bella del banco.
Nel fiume di Eraclito
un pesce ha immaginato il pesce dei pesci,
un pesce si inginocchia davanti al pesce, un pesce canta al pesce
e chiede al pesce un nuotare più lieve.
Nel fiume di Eraclito
io pesce singolo, io pesce distinto
(non fosse che dal pesce albero e dal pesce pietra)
scrivo in particolari momenti piccoli pesci
con scaglie così fugacemente argentate
da esser forse un ammiccare imbarazzato del buio.
§
IL GATTO IN UN APPARTAMENTO VUOTO
Morire – questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto
in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.
Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.
Qualcosa qui non comincia
alla sua solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c’era qualcuno, c’era,
poi d’un tratto è scomparso,
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani si è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Cos’altro si può fare.
Aspettare e dormire.
Che lui provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora
che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro
come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né squittii.
§
VIETNAM
Donna, come ti chiami? – Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? – Non lo so.
Perché ti sei scavata una tana sottoterra? – Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? – Non lo so.
Perché mi hai morso la mano? – Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? – Non lo so.
Da che parte stai? – Non lo so.
Ora c’è la guerra, devi scegliere. – Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? – Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? – Sì.
§
SÉANCE
Il caso svela i suoi trucchi.
Tira fuori dalla manica un bicchiere di cognac,
e ci mette a sedere sopra Henryk.
Entro nel bistrò e resto di stucco.
Henryk non è altri che
il fratello del marito di Agnieszka,
e Agnieszka è parente
del cognato di zia Zosia.
Parlando è venuto fuori un bisnonno in comune.
Fra le dita del caso lo spazio
si srotola e arrotola,
si allarga e si restringe.
Un attimo fa era una tovaglia,
ed è già un fazzoletto.
Indovina chi ho incontrato,
e dove, in Canada,
e dopo tutti questi anni.
Pensavo fosse morto,
ed eccolo là, su una Mercedes.
Sull’aereo per Atene.
Nello stadio a Tokyo.
Il caso gira fra le mani un caleidoscopio.
Vi luccicano miliardi di vetrini colorati.
E d’un tratto il vetrino di Hänsel
sbatte contro il vetrino di Gretel.
Figurati, nello stesso albergo.
faccia a faccia nell’ascensore.
In un negozio di giocattoli.
All’angolo fra la via Szewska e la Jagiallonska.
Il caso è avvolto in un mantello.
Vi si perdono e ritrovano cose.
Mi ci sono imbattuta senza volerlo.
Mi sono chinata e ho raccolto.
Guardo, ed era un cucchiaio
di quel servizio rubato.
Non fosse stato per il braccialetto,
non avrei riconosciuto Ola,
e quell’orologio l’ho trovato a Plock.
Il caso ci guarda a fondo negli occhi.
La testa comincia a farsi pesante.
Ci si chiudono le palpebre.
Ci vien voglia di ridere e piangere,
è davvero incredibile –
dalla quarta B a quella nave,
deve esserci un senso.
Ci vien voglia di gridare:
com’è piccolo il mondo,
com’è facile afferrarlo
a braccia aperte!
E per un attimo ancora ci colma una gioia
raggiante e illusoria.
§
LA GIOIA DI SCRIVERE
Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi a un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola «bosco».
Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.
In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.
Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.
C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?
La gioia di scrivere.
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale.
§
Ad alcuni piace la poesia
Ad alcuni –
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dove è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.
Piace –
ma piace anche la pasta in brodo;
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.
La poesia –
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.