A piccole dosi
l’albero il sale il cielo
uno spazzolino da denti –
a quante forze hai fatto appello
per restare integro per essere
dentro questo niente con tutto il niente
tu gentile il ritardatario
il precursore il tollerante religioso.
Catania, 27.05.1976
§
La bussola sul tavolo della nave
la bussola nel sangue della notte
la bussola sulle onde immobile –
la sola via dritta è la linea spezzata
fino alla riconoscenza e poco oltre.
I passeggeri dormirono sui loro fagotti.
Roma, 2.06.1976
§
Esistono molte solitudini intersecate – dice – sopra e sotto
e altre in mezzo;
diverse o simili, ineluttabili, imposte
o come scelte, come libere – intersecate sempre.
Ma nel profondo, in centro, esiste l’unica solitudine – dice;
una città sorda, quasi sferica, senza alcuna
insegna luminosa colorata, senza negozi, motociclette,
con una luce bianca, vuota, caliginosa, interrotta
da bagliori di segnali sconosciuti.
In questa città
da anni dimorano i poeti.
Camminano senza far rumore, con le mani conserte,
ricordano vagamente fatti dimenticati, parole, paesaggi,
questi consolatori del mondo, i sempre sconsolati, braccati
dai cani, dagli uomini, dalle tarme, dai topi, dalle stelle,
inseguiiti dalle loro stesse parole, dette o non dette.
§
ORFANEZZA
Alto eucalipto e ampia luna.
Una stella trasale nell’acqua.
Cielo bianco, argentato.
Pietre, pietre scorticate fino in cima.
Accanto, nel basso fondale, s’udí
il secondo, il terzo salto d’un pesce.
Immensa, estatica orfanezza – libertà.
§
Una moltitudine di limoni
sul tavolo
sulle sedie
sul letto
bagliori gialli
corrono sul tuo corpo
mi piace che piova
notte di mille limoni
e d’improvviso la pila del guardiaboschi
che ferma le lepri bagnate
sulle zampe posteriori.
§
Poi fece notte
due sedie di legno
sulla luna
sulle sedie
loro due
scalzi
l’uno di fronte all’altra
toccandosi appena
gli alluci.
§
GOMITOLO DI PIUME
Le poesie che ho vissuto tacendo sul tuo corpo
mi chiederanno la loro voce un giorno, quando andrai.
Ma io non avrò più voce per ridirle allora. Perché tu eri abituata
a camminare scalza per le stanze, e poi ti rannicchiavi sul letto,
gomitolo di piume, seta e fiamma selvaggia. Incrociavi le mani
sui ginocchi, mettendo in mostra provocante
i piedi rosa impolverati. Devi ricordarmi così – dicevi;
ricordarmi così coi piedi sporchi; coi capelli
che mi coprono gli occhi – perché ti vedo più profondamente così. Dunque,
come potrò più avere voce. La Poesia non ha mai camminato così
sotto i bianchissimi meli in fiore in nessun paradiso.
§
POMERIDIANO
Le galline piluccavano ancora per la strada. La vecchia moglie del capitano
sedeva sulla soglia reggendo il nipotino sulle ginocchia aperte.
Un ragazzo trasportava un paniere. Le case
caotiche di fronte al tramonto, coi loro vecchi bauli,
i letti di ferro, i tavoli, i quadri. Un grammofono
suonava rauco in una stanza chiusa. Le lenzuola
avvolgevano in ampi quadrati la propria storia. Non si sentiva il mare.
Una grande mano invisibile sollevava le sedie
due palmi da terra. Come fanno gli uomini a vivere senza la poesia?
§
Persone frettolose
estranee
persone familiari
estranee
lui ancor più estraneo
lento
si chiude nell’armadio
si chiude nello specchio
si getta le scarpe sulle spalle
se ne va
possiede un lago
in cui vede le case rovesciate
gli alberi rovesciati
il bimbo con la ruota
la donna col paniere
lui stesso l’inverso diritto –
Nella parte di sotto c’è la luce.
Catania, 27.V.76