Alessandro Bianco – La stanza delle pere

Alessandro Bianco

Alessandro Bianco

da “LA STANZA DELLE PERE”

QUASI UN AMORE
Altera, appassionata: una puttana di razza.
Con lei mi sollazzo a tariffe ragionevoli.
E, se dimentichiamo le pregiudiziali,
– io pago e tu lavori oh, Dio! sconfiniamo nell’amore.

STRANI SEGNI SULLA SABBIA
Strani segni sulla sabbia,
ondulazioni, geroglifici.
Forse la luna scrive un nostro terribile destino.
La passeggiata di un anatroccolo,
con orme nitidissime,
squilla una nota allegra, una certezza

EIACULATIO PRECOX ( NON PRECOCISSIMA)
OVVERO LA DISCREPANZA
Ci portano al baratro le donne,
alla follia dei sensi.
Poi l’uomo risale, ritorna calmo, attento:
guarda la donna nel suo precipitare.
Sola ormai.

SIAMO SQUALI
Siamo squali,
miriamo alle carotidi.
Poi nasce l’amore,
il fiore del deserto.
E porta uno scompiglio imprevedibile.

RICREARTI E’ DIFFICILE
Ricrearti è difficile.
La vita ti ha colpito nell’anima e nel corpo.
Mi stai davanti distrutta, mendicante d’amore,
E io, pietà o sortilegio, non chiedetemi,
ti rivedo fiera e luminosa,
e per una sera ti amo,
come allora.

CATTIVO TEMPO
Il cielo mi è contrario,
se uscisi dovrei affrontare
la bufera.
Resterò ancora un poco nel
letto del mio amore.

COSPARGIMI DI PROFUMI
Cospargimi di profumi,
siano fioche le luci,
che non ci accada il risveglio
facendo l’amore.
Tutto sia magmatico, confuso.
Oscuro dentro un amnios il gioco.
Solo così noi salveremo il sogno.

TIENIMI LA MANO
Tra poco sprofonderò nel sonno di pietra.
Il mio cuore è una farfalla impazzita.
Tieni la mia mano tu che mi ami.
Sia il tuo volto l’ultima luce che s’imbruna.

NON BERE A PICCOLI SORSI
Non bere a piccoli sorsi, guardinga.
Scenda su noi la nebbia dell’alcool.
Come animali facciamo l’amore,
unghie – denti – gridi.
Tutto qui,
tutto adesso.

IL NOSTRO TEMPO E’ QUI
Il nostro tempo è qui.
Brucia con i lumi che una trepida sera
accende nelle case,
si consuma in questi indugi dell’occhio,
adesso consapevole e ancora appassionato,
sulle care immagini del mondo,
nostra sola effimera ricchezza.

I PENSIERI EROTICI
I pensieri erotici,
callide volpi,
scivolano nel pollaio dei nostri pensieri quieti,
gonfie, sonnacchiose galline.
Ed è un putiferio di penne.

AL BAZAR
Che poi fossero patacche antichità
poco importava.
Il levantino strabuzzava gli occhi
per convincermi.
Si barattava, ed era chiaro che a vincere
era lui.
A me piaceva il gioco.

IL GIORNO COMINCIAVA
Il giorno cominciava con lo sgolarsi del gallo,
finiva con le stelle fitte.
Noi si stava vicini alla terra,
ebbri e dimentichi.
Gli odori di quel tempo,
il fruscio, i lunghi sonni,
l’animalità felice…

NOTTE D’AGOSTO
Un bengala nel cielo d’agosto,
rosa o vascello,
immaginate voi.
La notte fitta di stelle,
sola, grandiosa.
Tu parlavi d’amore,
ci credevi.

PORTAGLI UN FIORE TU
Ha amato una bandiera che è caduta.
Aveva vent’anni, ci credeva.
Di lui resta solo una croce che si sgretola,
sprofonda…
portagli un fiore tu.

LA VECCHIA
Sbalordita ( o fingeva?)
la vecchia del profondo sud,
tutta nera nei suoi pesanti scialli,
davanti al cartellone del porno film
( culi e pubi en plein air).

L’ALBERO DEI CACHI
Solitario rosseggia l’albero dei cachi
nello sfacelo dei giardini.
Così mi commuove e mi stupisce,
la luce dell’amore,
nella miriade di sguardi torvi
e di occhi spenti.

TROPPO BUIO INTORNO A NOI
Hanno detto molto.
E niente.
Le grandi menti della terra,
fiondando con i loro bengala
la caligine.

HO INVIDIA
Ho invidia per gli uomini schiavi
e padroni di un fuoco.
Hanno notti febbrili:
inginocchiati,
curvi al microscopio,
stregati da un verso.
In loro la vita grida con tutta la sua voce.

L’ADDIO PER TELEFONO
Un cristallo scheggiato la tua voce,
una lama crudele, la mia.
L’amore apre le vele alla sconfitta.
Parole come atolli in un oceano.
Le nostre due ombre inchiodate,
al gelo nero del telefono.

COSI’ VORREI
Come la suora di un ordine severo,
in poche ore il mondo in una piccola valigia:
si parte domani per Chatillon o Capo Palinuro.
Così vorrei incontrarti, così portarti via…
Le nostre vite ( senza fine l’abbraccio)
giocate alla roulette.

CHE STRANO
Certo fingevi: i piccoli gridi,
i rapimenti,
un’improvvisa furia d’animale
( allora mi mordevi).
Anch’io fingevo, padrone del tuo corpo
a pagamento.
Che strano chiamarlo amore quest’ incontro.

IL DERMATOLOGO
Al profano appare molto strana
la luce di gioia che travolge
il dermatologo,
per un eczema, una tigna,
un’orribile crosta,
la goduria della sua unghia
che gratta e fa la diagnosi.

A CENA
Non guardarmi così
tra il perplesso
il commosso e il disperato.
Adesso il cameriere
ci porterà un’orata al cartoccio.
E con un altro bicchiere di vino,
una gran confusione ci salverà.

COME TI ACCOGLIERANNO?
I polverosi re delle tenebre,
le grandi orbite vuote,
come ti accoglieranno,
paffuto,
scarmigliato per l’ultimo gioco,
ancora così intriso di luce?

QUELLE CASE
Quelle case gialline
ai bordi della ferrovia,
le lenzuola ai balconi,
i sedani in giardino,
il botolo ringhioso,
aperte e disarmate al tuo occhio,
così simili a molti di noi.

DISCORSO D’AMORE
Promesse insensate,
parole coraggiose.
Mai per sempre: tutto definitivo
e assoluto.
Tu così piccola dietro il fumo
della tua sigaretta,
così disperata.

QUALE MIRACOLO?
Sotto il ghiaccio
quale miracolo si prepara,
quale verde germoglierà,
quale ruscello inventerà primavera?
Noi ci saremo.
Sarà una primavera nuova,
con la voce forte del torrente
e la voce tenera dei nidi.

VENTO CALDO SULLE ALPI
Ecco il vento caldo
che porta sabbie del deserto
e fantasie di cammelli e beduini,
qui, dove scendevano ondeggiando
dalle alte gole gli elefanti di Annibale.
Tutto sulla terra lascia eco e traccia
e tutto si disperde, impalpabile sabbia,
memoria faticosa,
voce che il vento trascina
e qui dissolve.

ALL’ORO
Anch’io sacrifico all’Oro,
al suo ghigno di padrone.
Nelle catacombe del cuore,
dove neppure Iddio mi può vedere,
mi genufletto,
brucio aromi al Moloch,
scaravento bambini ( pensieri-brandelli
dell’anima)
nelle sue fauci.

POLENTA E CONIGLIO
Catapecchie tossivano fumo,
polenta coniglio una cena da re.
La cucina cantava con il rame dei suoi secchi,
e nelle stanze altissimi letti
erano le navi dei sogni.
Bastava allora il nostro vecchio cane,
occhi di fuoco alle porte della notte,
a tenere lontana ogni sventura.

IL LUOGO DEI NOSTRI INCONTRI
E’ più forte di noi
questo svolare di foglie silenziose.
Si posa sui sentieri, bruno miele,
un tappetto di sonni.
Al sole occiduo
splende come un altare
il luogo dei nostri incontri.
La fiamma del bosco
alta sul mare d’ombra.

L’ESTATE DEL ’40
“Voglio vivere così, col sole in fronte…”
Colmi di fieno tornavano i carri,
le ragazze accaldate, con fiori tra i capelli.
Era una bella estate, l’estate del quaranta.
I primi baci, i primi appuntamenti.
Poi lo schianto delle bombe,
il rosario mormorato nei rifugi,
le città distrutte,
alti pinnacoli di fumo.
E la nostra gioventù moriva
nel fuoco di quei roghi.

CHIESA DEL SUFFRAGIO
Qui si benedicono le salme
prima dell’onorata sepoltura.
Sul frontone, cinque santi severi.
Sia gloria a Dio dagli slabbrati visi,
che restano lassù,
perduti nel volo delle rondini,
così in alto su noi che celebriamo,
tra sbuffi d’incenso,
la disfatta della carne.

LA VECCHIA PAZZA
Dice che si farà seppellire con i cani,
almeno sei, i più acciaccati e denutriti,
e con il suo largo cappello svolazzante
di vecchia pazzza.
Dice che il padreterno,
vedendola così conciata,
la farà scortare da un drappello di angeli,
e avrà per lei un occhio di favore.

LA CITTA’ DEI TOPI
Sotto la città degli uomini
brulica la citàà dei topi,
remigano nelle fogne baffute pantegane.
Solleviamo su palafitte i nostri altari,
le ceneri degli antenati, i libri sacri.
La fame non ha garbo,
la fame non ha ritegno.

STUPORE
Proprio non capisco
come mi sia raggrumato,
come da uno spermio e un ovulo
mi sia cresciuto il testone.
Almeno un ohibò! avrei dovuto dirlo,
dall’ineffabile regno del non essere,
catapultato sul pianeta terra,
con qualche rischio d’immortalità!

TELEFONATA
Per non rompere un filo
ti arrivò la mia voce nella notte,
Torino-Roma via telefono.
L’estate non muore mai a Roma!
E voi siete affondati nella nebbia!
La tua parola s’incrinò rotta da un’interferenza:
sillabe, avverbi, isole dilatate di silenzi,
una banchisa di silenzio tra Torino e Roma.

TEMPO D’ATTESA
Graffiano il cielo neri rami,
la neve è a distesa,
rotta solo dalle feritoie di un casolare,
dove uggiola un cane.
Anche la nostra vita si slama in queste soste
che fingono la morte.
Poi lo schianto di un mattino,
il furore delle ardici che riemergono,
il miracolo di un fiore.

LE VOCI DELL’ALDILA’
Riflesso nel grande specchio,
la parte grottesca, ironica di me
ammira il mio ectoplasma, panciuto e quasi calvo.
Aristocrazia dell’umorismo ridere di se stessi!
E qualcosa salvi, l’occhio ridente nel naufragio.
La tua voce nasale in microsolco,
un disco dimenticato nel solaio
( grazie agli eredi!)
con i discorsi di Mussolini e il Trio Lescano.
Le voci dell’aldilà.

LA LEPRE
In una pozza di luna,
orecchie dritte al respiro del vento,
ecco la lepre.
A te, profanatore delle notti dei campi,
offre il bianco del ventre in capriola,
appena una traccia dentro l’erba folta.
E quattro caccole fresche per ricordo.

PRESAGI
Frastuono al passaggio delle mandrie
con il corteo dei cani,
scampanio che si allontana
nel primo addensarsi della sera.
Presagi di una stagione che precipita.
I boschi esplodono in luci d’agonia.
Nei merletti brinati dei cespugli,
il pettirosso è il messaggero dell’inverno.

GRAFFITI NELLA GROTTA
Occhi nella pietra,
lotte, amori,
per lunghissime notti nel silenzio
– appena mormorare di acque
e franare lento della terraEd ecco un uomo vivo,
sceso quaggiù con la sua torcia,
ammutolito.
Per lui, per noi, resterà questa pietra
a rinserrare anime e sogni,
finché non ci ferisca la luce,
e un viso non riaffiori,
dal lunghissimo sonno a ricordare
quanto è dolce la vita.

MESTIERE DI MEDICO
Ricomponiamo lo scempio di un mosaico.
l medicina è avvincente,
fa vela al gioco-fatica della mente,
che cerca nel buio un chiarore,
e si vale di segn anche minimi.
Stormiscano per te le spighe del concreto,
ritorna agli occhi che chiedono,
regala una parola di speranza,
vale molto di più di una fiala.
Immergiti nel dolore del mondo.

MAGIA E MEDICINA
Negli occhi smarriti
ritrovo la mia forza,
negli uomini vinti
le ragioni per lottare.
Potrei accoglierli in un mio antro,
con boccia di cristallo e fondi di caffè.
Non rifiuto la scienza,
ma so bene quanto è importante la magia:
un calmo lago di sguardi e di parole.
E, se in molti, per me, rinasce l’arguzia
di un sorriso, una piccola vela di speranza,
per loro, a me ritorna il senso,
la luce della vita.

DORMIGLIONA
Invidiavo i tuoi sonni,
compatti, intatti, alti
giardini babilonesi sopra la
brulicante città dei tuoi affanni.
E invidiavo i tuoi risvegli neghittosi,
lenti, arabi,
senza nessuna fretta di tornare
alla luce del giorno.
Animale d’ombra, padrona di un anfratto,
al riparo dalle lance,
da ogni agguato…

NATALE 78
Io lo passai con una donna greve,
nel corpo e nell’anima.Greve.
Il Natale era lieve,
pupazzi di neve nelle piazze,
i boschi pagode arabescate.
E io imbragato in quel suo amore straripante.
Sotto un cielo terso di cristallo,
invidiavo anche i passeri affamati.
Boccheggiavo.

FELICITA’ SOLITARIA
Parossismi di piacere,
masturbazioni,
un bel quadro, una buona poesia.
La felicità solitaria è cosa difficile.
Ho amici le donne e gli uomini soli,
che scendono tutti i gradini dell’esistenza,
efedeli a un loro sogno,
un fiore calpestato che non vale più niente.
Ma era un bellissimo fiore.

PRIMAVERA AL TORRENTE
Ebbra nella sua nuova livrea,
di pietra in pietra bilanciandosi,
la cutrettola trilla che la stagione dei ghiacci
è finita,
le trote d’argento hanno guizzi fulminei.
Alle rive, dall’ombra alla luce
erompono i germogli.
Il direttore d’orchestra ha dato il la.
Il torrente oggi ha ottoni splendenti.

MARILENA
Marilena lentigginosa,
lunghe trecce,
dispettosa,
mi guardavi di sbieco e di soppiatto.
E io ti amavo.
Sprofondata.
Come tutto di noi sprofonda.
Barlumi di memoria dicono che qualcosa
è accaduto,
non più di uno zampettio di topo.
Così si regge
massacrata
la nostra identità.

GLI OGGETTI
Per anni aveva raccolto una miriade di tappi,
scatole di latta, cianfrusaglie.
Era un suo modo di aggrapparsi al passato,
ricrearlo.
Adesso è venuto il mio tempo, oggi che un
ferrigno cielo sfarina la neve di un
altro inverno,
io ho i miei legni odorosi, la scrivania del nonno,
i vecchi libri di carta patinata,
tutti i miei lari schierati a difesa.
Il tempo fuggito ha una voce grandiosa.
Mi inghiotte.

HAI LASCIATO SOLTANTO QUALCHE TRACCIA
Hai lasciato soltanto qualche traccia…
un fazzoletto profumato,
una forcina, l’impronta dei tuoi zoccoli
in giardino.
Quanto basta perché nasca un fantasma
che mi streghi e mi perseguiti.
La realtà ti regala appena
un lampo, poche linee, ed è la fantasia
che ti spalanca l’avventura del vivere,
e fa possibile l’assurdo.
Palpita ai vetri la neve del Natale,
e tu verrai, vita o morte non so.
Ti vesto con amore, ti accarezzo.

INCISIONE RUPESTRE
Incisione rupestre,
messaggio faticoso,
grido;
gli spazi stellari sono gremiti di gridi,
come d’estate un cielo di rondini.
Forse tutto nasce e muore con questo stridio,
o forse qualcosa rimane,
se io ti penso con amore,
fratello lontanissimo,
mio compagno di vita e dolore.

ALTA LA PICCOLA TESTA
Alta la piccola testa,
asciutti gli occhi,
solo un tremore del mento
a dire la tempesta dell’animo.
Così ti ho lasciata.
Ladro d’amore già scrutavo altri volti.
La tua immagine ferma,
cocciuta nel ripetermi
che a perdere ero io.

QUATTRO OSSA
Quattro ossa. Un niente.
Avresti fatto la felicità di un
anatomico.
Mi scoprivo spirituale.
Amavo i tuoi silenzi, le penombre,
quello che apparivi,
non quello che eri,
lo spazio che lasciavi al mio fantasticare,
a prezzo della tua distruzione.

COME UN PRINCIPE DI LIBIA
Leggevo di un principe di Libia,
ritenuto un’anima sublime,
uomo di grandissima cultura.
Assorto e grave,
non pensava a niente
e non parlava mai,
immerso in suo grandioso nulla.
Non vorrei che tu gli somigliassi,
così avara di parole e misteriosa:
e io che mi scervello per capirti…

PERCHE’ CENAVO LI’
Il padrone un furfante,
sporco il locale,
la lepre in salmì,
molto sospetta.
Perché cenavo lì?
Per Margherita,
la cameriera dalle tette dure
come due palle da biliardo.

IL NOSTRO CASTELLO
Una poltrona
un fermacarte
una stanza odorosa di legni.
Quanto tempo perché rsti una traccia
di noi,
nei luoghi e negli oggetti,
un nostro castello di pulviscolo!
E come lo dirocca la risata schietta
di un fanciullo,
che afferma la sua vita,
da padrone!

ASCENSORE D’ALBERGO
Salendo in ascensore,
galoppano i cuori come puledri,
tu, ad occhi bassi, pudibonda,
io con lo sguardo nel vuoto, imbarazzato.
Il lift ci guarda curioso,
esemplari del suo bestiario,
specie: fornicatori d’albergo,
genere: monferrino o longarolo.
Al piano, si inchina lieve,
e accetta la mia sofferta mancia,
con noncuranza di granduca.

NON GRIDO PIU’
Non grido più, non mi dibatto.
Ho capito che non sono una vittima,
( che pensiero ridicolo).
Sono uno come tutti
la specie è Homo sapiens,
il pianeta è la Terra.
La vita e la morte
adesso mi sono compagne.

DA MURISENGO MONFERRATO
MOMENTI DEL FUNERALE DELLO ZIO
Mancava il muratore,
l’addetto ai loculi:
era all’osteria per un tressette.
Così mio zio,
nei suoi lucenti legni funerari,
era rimasto ancora un poco
sotto la frescura dei cipressi,
in quella splendida estate monferrina,
lieto di questo primo contrattempo
della sua non esistenza.

DOMANDE D’AMORE
Io sono un cuore
un’anima ed un corpo.
Quanto di me ti è necessario
per continuare ad amarmi?
Quanto si può amputare,
perché rimanga ancora un barlume
di me,
linea perduta nel baratro di un pozzo,
ombra pudica di una belva
che cerca covo a morire?
E tu, amandomi,
accetterai la mia distruzione?

PAESAGGIO AUTUNNALE
Indugia nel sottobosco,
con i suoi rami bassi complotta con gli arbusti,
poi trova il suo cielo,
e avvampa in rossi di sangue.
Anche per te squillerà la sua luce,
un giorno che la vita ti chiama fuori dai ripari.
Ti vuole tutto.
Allora non temerai la morte.

LAVORO E SFIZIO ( POESIA RETORICA)
Gioco con un mio grano di follia.
Come il ciabattino d’altri tempi,
(adesso mi dicono: è retorica!)
chino sul suo deschetto,
molto avanti l’alba,
anch’io (lo sfizio di un borghese)
nel cuore della notte,
sopra un foglio bianco
inseguo un mio sogno di poesia.

IL NOSTRO AMORE PER LE BESTIE
Prima che al cimitero dei cani,
pensiamo a come vivono le bestie,
(non i pechinesi rimpannucciati da avvizzite signore).
Dico l’orrore dello zoo,
dove l’orso polare agonizza,
lontano dai suoi cieli,
l’ansito delle vacche assetate
nei carri bestiame,
la festa dei colori alla corrida.
E nell’arena il toro nero in ginocchio,
zampilla sangue
per la nostra vergogna.

UNA DONNA
Ha le armi di tutte le donne giovani,
con qualche crepa adesso.
Lei sceglie la penombra,
i mezzi toni,
si è fatta misteriosa.
Oppone l’intelligenza
alla lebbra degli anni.
Il suo fascino resta.

MIO PADRE
Dove sei?
Fulminato dal gelo della morte,
dissolto nel grembo della terra,
o in qualche parte risorto,
anemone, forse, o foglia di betulla,
e mi sussurri dolcissime parole,
tentando uno spiraglio
nel tuo muro d’ombra,
con violenza d’amore.

CI SIAMO SMARRITI
Ci siamo smarriti nella sala degli specchi,
nel giardino delle assurdità.
Non siamo mai esistiti e non c’è uscita:
solo questa grande cupola del cielo,
questo cratere se volete.

LE ROTTE
Potrà variare la rotta delle anitre selvatiche,
per influssi stellari, richiami misteriosi,
un fruscio nel cuore delle notti.
Non varia la rotta gastronomica
della mia cuoca padrona:
barbabietole e cavoletti di Bruxelles,
cibo che aborro,
nei giorni dispari di ogni settimana…

NELLE SERE VELATE
Nelle sere velate da una pioggia sottile,
le donne sono più misteriose,
celate nei loro impermeabili,
gli occhi ridenti o il viso assorto,
ambigue.
Tutte da sognare.

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