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“Ecco…
ecco! nuovamente la vita…tempo-non-tempo sfreccio su queste strade e le cose, ogni cosa, fuori;
avviluppo in ghirlande colorate…sfumano dietro, le colgo di striscio con la coda dell’occhio. Dentro: ovatta. Cera. Come te, nonna…oh nonna nonna…a quale universo bianco sfuggi, ché bianca sei, sotto le vesti, ti vedo…
E ancora…ecco…affacciata all’ingresso della mia casa…sì! ancora…
Pareti, la poltrona rossa pesa del peso di anni. Un gatto dorme tutte le ore. Le mie e le sue.
– Dormivano loro – oh mamma…è un riposo il tuo? Ti toccano i miei pensieri? Sveglio, la tua eternità? Ti disturbo mamma? Perdonami, se…non riesco a impedirmelo
tu sola sai il mio tormento,
quanto i miei piedi nudi cerchino la verità a contatto col suolo, una verità
a me preclusa.
La terra ferma
non contempla verità.
– e tu,
tu cosa cerchi da me? – Chi sei? – …il tuo fiato sui miei peli.
Crescono sul corpo, incondizionati li sento vibrare al tuo arrivo, quietarsi.
– Dove mi porti? Chi sono io? –
Un tempo ebete ci sostiene, di miseria e gioia, di ricordi – dove mi porti?
Cielo, ce n’è molto qui, molto più che altrove, molto più che in tutto il globo. Mare,
oh tutto il mare è qui.
Colori distinti tra loro, fratelli, cielo color cielo, mare color mare, non l’uno l’altro, non l’uno nell’altro, bensì mare: mare;
cielo: cielo.
Palme, anch’esse, palme.
Fino ai litorali. Ancora il Bagno delle Spighe, con i suoi ombrelloni gialli e i merletti svolazzanti. Sono a righe ora, ma un tempo…
Fiato
comune sapere, forse,
non rammento in questa ora che mi porta ovunque, ignara.
Appartengo a un sogno di tufo.
– Chi sono loro? – Appartengo a Voi come una madre.
Mi respirate m’invocate.
Ho camminato a lungo in queste stanze, inutilmente, e le vostre grida mi giunsero tardi, ma ora, oh, ora, sento e sono pece. Vi appartengo come il rosa appartiene al pesco. E sa molte cose.
– Andrà tutto bene. Sì, lo so.
Io, so molte cose;
filo per queste vie melmose, ovatta bianca, buco di latta.
Un barlume di coscienza rimane appeso, ma quanto di me s’è perduto, per queste vie…
Molto di me, s’è perduto. Per queste vie. Come statua che perde la mano erosa dallo sguardo dei secoli.
Secoli, di marmo rosa, anch’essi.
Molto di me ho perduto, viva la sorte!
La sorte mi conduce a voi, anime salve. L’ippocampo, il paguro, l’istrice, attendete tutte il mio ritorno. Tu, mamma…
A gran voce chimere dei miei ricordi più cari, ho perso. Forse in tempesta?
Fu questo l’inganno?
Oh, mie buganvillee. Falcidiate dal tempo, da quanto, siete Voi?
Ombre mi ammaliano, io devo sapere! sapere e correre, correre!
– Andrà tutto
bene.
Sono genti ora sconosciute, un tempo sorelle e fratelli, unico luogo, ingentilito dalla nascita spontanea dell’orchidea nella roccia, in esilio.
Forse che tu, Lorenzo, mio cavaliere, giungi a me da questo esilio, perduto ormai?
Dove mi porti? Dove andiamo? Antenati radunano i loro guerrieri sparsi per l’eternità. Siamo noi di questo esercito, con mostrine sulla pelle delle spalle.
Ho una voglia latte, tatuata sul petto. Vedrai Lorenzo. Sospetto l’abbia anche tu.
La corsa mi confonde la vista, frappone case, donne, cani chiassosi, gagliardi ragazzini in shorts da vela. Bambine dai lunghi sogni e code d’oro. I miei, hanno conosciuto altre genti, pettini d’osso e parole.
Avranno anche questi i loro mariti, le loro mogli, ad attendere, ogni sera dietro una finestra, una rinascita?
E mare. Senza orizzonte, sconfinato, da sempre nel sempre.
Occhio placido alle cose umane. Decisamente
mare.
Bocche come pesci, carnose, afone. Gentili.
Spiagge di corallo fine, ammorbidito dalla morte. Immacolate fin’anche abitate. Come la più naturale delle unioni.
Sono nata qui.
Mi persi in quale agio? Apparente. Ora torno. Lorenzo portami, sono pronta.”
Viaggiava, per le strade della sua mente, ubriaca! La visione, oh la sua personale percezione, quasi persecuzione…innata.
Costeggiava la vita e i suoi tratti. Sul litorale le abitudini più inutili davano sfoggio, radicate. Movenze e persone. Persone persone, fuori. In gita verso altri modi. Così le appariva il circostante. Estraneo.
Tanto era familiare questo stato d’animo che andava cercandolo in quei momenti tesi tra qui e dopo. Fazzoletti di sé che srotolava tra un prima e un poi, a prendere aria come lino vecchio.
Oh solitudine amata. Occasione di ricordi mai vissuti. Dejà-vu che durano un’esistenza, da un’eternità.
Così fugace il resto.
Così inappropriato l’abito del presente.
Con la benedizione di sua nonna, l’aurea buona della vita, andava da Lorenzo, questo era quanto, deciso – signori l’udienza è tolta! –
La mappa interiore con i tesori nascosti dai pirati, tremava alla bocca.
Tremava il raggio di sole sulle fodere avorio. Fiammeggiava il profilo sottile delle stoffe, il suo animo.
Lorenzo all’altro capo dell’universo.
Lorenzo occhidilince-grigi. “Sì, anche tu…anche tu sai”
“Avremo tanto tempo per spiegarci e sarà condensato in un contatto, dove abitare, dove siamo sempre stati.”
Era dunque la risposta? Lui? O piuttosto la domanda si faceva più nostalgica? Mano a mano che procedeva, prendeva fiato e gonfiava galleggiando in cielo come enorme bolla di sapone. Inverosimile. E tanto più inverosimile quanto più plausibile.
Qualcosa, stava per accaderle. Quel dì, tra il risveglio e l’imbrunire, avrebbe dato alla luce un baco di seta.
O più facilmente tutto, era illusione, e paura.
Di nuovo il pensiero la estraniò.
Una mano invisibile sotto la camicetta a percorrerle la schiena, solleticando appena, sorrise di compiacimento e una punta di sadismo.
Le 16.30 di un fresco pomeriggio. Un leggero vento eccitava le foglie più altezzose degli alberi, lungo la costa. La bella gioventù usciva dai portoni, festosa. Riaprivano le botteghe, il paesello apparecchiava per sera i suoi vicoli.
Il sole non più alto tagliava a fasce le facciate gialle delle costruzioni, dorando gli ottoni delle porte. Piccole e grandi ruote di biciclette s’inseguivano sulla “passeggiata”.
Poteva essere dolce la vita.
Un alito increspò a buccia le sue esili braccia. Ancora musica. Calore di latte appena munto.
“dirò: Lorenzo! – il tuo nome!…dalla tua bocca…Giulia…”
Non vide il cane.
La bocca spalancata della ragazzina, fotogramma impresso allo specchio, l’unico frammento a ficcarsi negli occhi: indelebile, dolorante, come avrebbe saputo nelle molte notti a venire.
In quel momento non vide nulla. Solo cielo e mare. Cielo e mare…
Sino a che, improvvisa, ogni cosa schiantò.
to be continued…
Angela Fragiacomo
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